E' ora che gli Agnelli diventino Lupi

AgnelliCi risiamo. Pare incredibile, ma ci risiamo. O, meglio, non pare incredibile solo perché ci risiamo dopo essere tornati a vincere con la concreta probabilità di poterlo continuare a fare per anni. Cosa fanno il Palazzo e il Palazzi, allora? Colpiscono. Non alle spalle, al contrario, di fronte, con la prosopopea di chi ti condanna all’ammissione di essere un niente, di non valere niente, di non contare niente. Ma qui c’è ben più di una merenda rubata durante l’ora di ricreazione o di un paio di sganassoni ricevuti nel piazzale della scuola. Qui ci sono milioni di persone cui viene di fatto sottratto ciò che si sono guadagnate con sofferenza, sacrificio e fedeltà. Per non parlare degli azionisti, che nella maggioranza dei casi sono anche parte di quei milioni di tifosi, cui si toccano anche i risparmi. Proprio come in quella bislacca estate 2006, quando un ex componente del consiglio di amministrazione della seconda squadra di Milano e una ministra frequentatrice pentita delle feste a casa Briatore in Kenia decidevano, spalleggiati anche a Torino, di mandarci all’inferno.
Non c’è depressione in me, al contrario. Personalmente aspettavo da tempo un’occasione del genere. E non per rifarmi sugli amici e compagni bianconeri che qualche settimana fa esultavano ignari per i gol di Balotelli e Cassano, mentre l’indirizzo della Federazione, di cui quell’azzurro è il simbolo maggiore, già era piuttosto chiaro nel far capire che per la squadra più titolata d’Italia, che alla Nazionale da sempre presta le sue migliori risorse, sarebbero, ancora una volta, tornate a tintinnare le manette (metaforicamente, almeno per ora). No, non era per questo che bramavo famelico. Piuttosto attendevo ansiosamente che il nuovo corso societario ricevesse su un piatto d’argento l’occasione per dimostrare il proprio valore anche fuori dal campo, di trasformarsi da Agnelli in Lupi, senza essere obbligati a farlo partendo dalle disgrazie e disfatte dei propri, inadeguati (per essere davvero buoni), predecessori. Signori, qui ci offrono su un piatto d’argento l’occasione della vita, quella di poter rovesciare una volta per tutte il tavolo ben apparecchiato coi soliti sciacalli già seduti attorno e pronti per l’ennesima abbuffata. Per riscrivere le regole sulla base di nuove facce e di una giustizia in cui, come in ogni ordinamento che si rispetti, la condanna venga pronunciata esclusivamente se la prova della colpevolezza esista al di là di ogni ragionevole dubbio.
Sia chiaro, se ancora una volta chiniamo la testa, ci inginocchiamo, e magari ammettiamo, pur essendo palesemente innocenti, di essere colpevoli attraverso formule di diritto (patteggiamento), non finirà mai più: il più debole in caserma è vittima degli atti di nonnismo più crudeli. E’ la storia. Proviamo a difendere la nostra, stavolta, costi quel che costi e fino in fondo. Sono certo che milioni di persone sono disponibili a qualsiasi sacrificio pur di vedersi restituito l’Onore e riconosciuta la Verità. Non sono due parole, Onore e Verità, fanno parte di uno stile di vita e di conduzione della vita stessa.
Società dimostrami, per favore, che il mio giudizio pessimo dopo aver letto le prime tue reazioni di fiducia nelle istituzioni sportive anche a seguito dell’ultimo scempio è sbagliato. Dimostrami che è arrivato davvero il momento di fare Giustizia. Dimostrami che è giunto il tempo di riprenderci tutto. E non venire più considerati il niente.

P.S. mi sono accorto, solo rileggendo questa mia breve riflessione, di non avere mai nominato la parola Juve. Un lapsus freudiano: la Juve, la mia Juve, la nostra Juve, si difende, attacca e va a segno. Non esce mai dal campo senza lottare, perché la lotta è insita nel dna stesso e tra le strisce di quella maglia bianconera che è anche la nostra seconda pelle.