Vademecum per giornalisti: come marcare uno juventino vero

arrampicataA Ju29ro ci rendiamo quotidianamente conto di quanto sia difficile - di questi tempi - cercare di fare un’informazione corretta riguardo ai fatti e agli avvenimenti relativi allo scandalo Moggiopoli. Da un anno a questa parte, infatti, si è creata molta confusione intorno a questa vicenda, soprattutto in riferimento agli ultimi sviluppi emersi nel corso del processo penale che si sta svolgendo a Napoli. Disordine, non ci vergogniamo di dire, volutamente promosso e alimentato da tutta quella folta schiera dell’opinionismo juventino che sta recentemente beneficiando di un’innegabile e inspiegabile sovraesposizione mediatica. Per un rappresentante di questa categoria, infatti, è stata condizione sufficiente l’aver scritto un libro, pubblicato qualche articolo di blog o aver partecipato a una qualsiasi (seppur piccola) trasmissione radio-televisiva per ritrovarsi inaspettatamente a godere delle più ampie ed influenti ribalte comunicative. Intento di questo articolo è quindi quello di fornire uno strumento a tutti quei professionisti del settore che, animati dalla continua ricerca della verità, si ritrovino loro malgrado a dibattere/combattere con questa categoria di personaggi. Il consiglio è quello di stampare ciò che segue e di produrlo in diverse copie, affinché funzioni come utile vademecum da tenere sempre vicino in caso di necessità.
Bene, cominciamo.
Appena terminato l’intervento dell’opinionista juventino (a loro quasi sempre spetta priorità di parola), per stroncarne immediatamente la fregola revanchista è assolutamente necessario mettere in chiaro il seguente punto: giustizia penale e giustizia sportiva sono due ambiti diversi e, in quest’ultimo, l’onere della prova è invertito. Se vi contestano che questa prassi non è codificata da nessuna parte, replicate che si tratta invece di cose note e che, semmai, dovrebbero essere loro a dimostrare il contrario. Se insistono sostenendo che gli articoli 102 e 103 della Costituzione Italiana sanciscono il divieto di istituire giurisdizioni speciali, con la conseguenza che le decisioni degli organi sportivi altro non sono che semplici provvedimenti amministrativi di natura disciplinare (addirittura passibili di revoca!), obiettate affermando con decisione che coi cavilli e i giri di parole non è possibile costruire nessun dialogo valido e che la gente a casa non è certo con i tecnicismi che può farsi un quadro chiaro della situazione. Servono i fatti. E ci sono fatti innegabili per quanto riguarda il risvolto sportivo! Se, per caso, state cavalcando un’onda emotiva favorevole potreste aggiungere (con tono discendente e rassegnato) che quello che c’era da capire si è capito benissimo e (virando sullo stizzito) che se non si mettono dei paletti ben saldi la discussione non può assolutamente andare avanti.
Il paletto più importante, ovviamente, è che qualsiasi cosa sia emersa dal 2006 ad oggi non può neanche minimamente intaccare gli esiti delle sentenze sportive, le quali, come è noto, sono maturate attraverso diversi gradi di giudizio (potete sparare fino a 6-7 gradi, 8 se il conduttore è Biscardi). Come se non bastasse, viene troppo spesso dimenticato come i tribunali sportivi abbiano dovuto decidere in tutta fretta per permettere le iscrizioni alla Champions League e il regolare svolgimento del campionato. Se l’avversario insorge sostenendo che, per irrogare le pene, si poteva benissimo aspettare la fine del torneo successivo, puntualizzate che è già andata bene alla Juventus essere finita in serie B nel 2006 e non dieci, venti, trenta (Biscardi) anni prima.
Inutile rimarcare poi come non abbia rilevanza alcuna la scoperta delle nuove intercettazioni, già giudicate irrilevanti da chi ebbe il compito di selezionarle. Ciò che conta, infatti, è il tono della conversazione (a volte anche l’orario) e ciò che si dice, anzi – nel caso di Moggi – si ordina. Se qualche sfacciato dovesse replicare citando cifre tipo 4-4-4 che diventano 5-4-4, sbuffate spazientiti che non tutti possono permettersi il lusso, e il buontempo, di mandare a memoria i numeri progressivi delle telefonate.
In ogni caso, contro l’arroganza di chi si improvvisa giornalista, mettete subito in chiaro la vostra posizione: voi, questo lavoro, lo fate da dieci, venti, quarant’anni (più la platea è giovane, più caricate con l’anzianità di servizio) e vi siete letti tutte le trenta telefonate su Moggi. Insomma, siete documentati. E poi, ça va sans dire, il dovere del giornalista è quello di informare e di raccontare la verità. Nell’eventualità che fosse presente al dibattito un avvocato (abbiate pazienza, è pagato per difendere l’indifendibile), scendete al suo livello e passate al gergo tecnico (“conosco bene le carte”, “incartamenti” se volete un tocco chic e, per ammutolire anche i più ostinati: “se il fatto non sussiste, non vuol dire che non è stato commesso”).
Nei caso, sempre più frequente, in cui anche il conduttore si schieri dalla parte della Juventus, è bene far ricorso senza remore all’artiglieria pesante: Moggi è stato sanzionato – pure in appello! - per violenza privata (è risaputo che minacciasse i giocatori, immaginiamoci cosa potesse fare con gli arbitri), mentre Giraudo ha sul groppone una condanna per associazione a delinquere. E pazienza se si tratta solo del primo grado di giudizio, dal momento che - come prevedibile – le difese faranno di tutto per allungare i tempi processuali, puntando alla prescrizione.
Ad ogni modo, sempre meglio abbozzare e mantenere un certo contegno, per non cadere nella trappola della confusione: la caciara torna comoda a chi è a corto di argomenti e a chi – per citare Thomas Jefferson – si serve del ridicolo, avendo la ragione contro. L’ideale, per uscire da situazioni del genere, è affidarsi a frasi di questo tipo: “Comunque l’aspetto penale non mi interessa, mi occupo solo di quello sportivo”, arricchite se necessario da un filantropico quanto efficace: “Anzi, auguro a Moggi e a tutti gli altri imputati di essere assolti”.
Vanno infine considerati alcuni casi particolarmente spinosi. E’ capitato infatti che, accecato da eccessivo amore per la propria squadra, qualche opinionista-tifoso si sia avventurato nei verbali d’indagine e nei documenti processuali, in cerca di sofisticherie alle quali aggrapparsi (sforzo curioso, quanto inutile, visto che nemmeno lo stesso avvocato difensore della Juventus, Cesare Zaccone, ebbe molta fortuna, finendo poi per rassegnarsi a chiedere la retrocessione in serie B). E’ accaduto quindi che qualcuno abbia fatto notare il ruolo svolto dal professor Guido Rossi e dal colonnello Maurizio D’Andrea. Per non scadere nel banale confutando un’illazione tanto farraginosa, cavatevela con una battuta: “Suvvia, cosa credevano gli juventini? Che a giudicarli avrebbero trovato Lapo Elkann e Giampiero Mughini?”.
Altra contestazione capziosa è quella relativa al cosiddetto “illecito strutturato”, ovvero il reato contestato alla Juventus che, all’epoca delle sentenze, non esisteva nel codice di giustizia sportiva. In realtà l’introduzione di questa nuova categoria di illecito non ha fatto altro che colmare un'intollerabile lacuna normativa. Inoltre, non è assolutamente vietato cambiare le regole in corsa, anzi è vivamente auspicabile quando questo contribuisca ad un oggettivo miglioramento, così come accadde nel 2001, allorché fu opportunamente abolita un'incomprensibile norma che discriminava gli extracomunitari (equiparandoli di fatto a degli irregolari abusivi), impedendo loro di essere schierati in campo in numero superiore a tre.
Come ultima obiezione, potrebbero farvi notare come l’illecito strutturato corrisponda, in campo penale, all’associazione a delinquere, con il solo scopo di giungere alla fallace conclusione che, nel caso un giudice non riconoscesse quest’ultima imputazione (eventualità assai improbabile, vista la gran quantità di prove emerse nei dibattimenti, cfr. colpo di tosse di Manfredi Martino), si verificherebbe in automatico l’insussistenza anche della prima. Ebbene la soluzione è dettata dalla logica: si tratta, ancora una volta, di due ordinamenti diversi. D’altra parte, non è che nello sport ci si associa a delinquere con le pistole!
In conclusione, se quanto esposto sopra risultasse un poco ostico da memorizzare, potrete sempre fare riferimento alla vicenda dell’arbitro Paparesta, rinchiuso per lungo tempo da Moggi nel proprio spogliatoio (pare tra il primo e il secondo tempo di una partita, circostanza questa tuttavia ancora da verificare), così come all’inverosimile numero di schede telefoniche svizzere distribuite dallo stesso Moggi a tutti gli arbitri della serie A. Schede non intercettabili, attraverso le quali aggiustare le partite (alcune precedute addirittura da cinquanta contatti tra l’ex dg e un arbitro associato) e farla in barba a ogni tipo di controllo.
Un ultimo suggerimento: se la discussione è stata leggermente animata e vi sentite un poco agitati, evitate di raccontare vicende che, seppur incontestabilmente vere (è stato dimostrato che Moggi fece avere a Zamparini un arbitro a lui gradito, così come sono di pubblico dominio le vicende che portarono alla retrocessione del Napoli di Corbelli e all’esclusione di Zeman dal calcio), potrebbero portare ad un ulteriore inasprimento della contesa. Glissate e congedatevi con il più assennato dei consigli: è ora di guardare avanti e di lasciarsi alle spalle Calciopoli (soprattutto voi juventini, per il vostro bene, quel passato è tossico!). E’ preferibile - casomai - che quello scudetto non venga assegnato a nessuno e che si torni, una volta per tutte, a parlare di calcio. Salutate sorridenti, consci di avere – come sempre – la verità dalla vostra parte.