Revival di una notte da incubo

Ferrara1 settembre 1990. Supercoppa d’Italia. Napoli-Juventus 5-1.
Ferrara si ricorda di sicuro quella serata e quella partita, l’ultima e forse la più roboante serata nella storia del ciclo vincente del suo Napoli.
La serata di oggi, 4 ottobre 2009, assomiglia molto a quella disfatta della nascente Juve targata Montezemolo, quella tutta lustrini e paillettes durata lo spazio di una stagione proprio perché in stridente contrasto con la storia di tutte le Juventus di sempre, fino all’avvento della Juventus sorridente e simpatica del Nuovo Corso 2006, data spartiacque dopo la quale di esibizioni come quelle di stasera ne abbiamo viste, ma mai umilianti come questa.
Stasera si è vista l’arrendevolezza dei tempi di Ranieri, mescolata alla follia di certe prestazioni maifrediane.
La cosa grave è che Ferrara ha conosciuto quella Juve maifrediana e l’ha battuta, ma ha conosciuto anche la vera Juve nel ciclo lippiano e promise di far dimenticare ai tifosi gli anni di mediocrità del signor Tinkerman.
Le ultime esibizioni della sua squadra mostrano però preoccupanti involuzioni sul piano del gioco e dei risultati: nelle ultime 6 partite lo score parla di 4 pareggi, 1 vittoria (col Livorno ultimo in classifica e padrone del gioco) e il tracollo di Palermo, dove le negatività di queste ultime gare si sono appalesate tutte assieme in una volta sola.
Una squadra molle, svagata, senza idee e gioco viene surclassata sul piano del ritmo, del gioco, della grinta e addirittura della personalità.
Le illusioni sono durate lo spazio di un’estate.
Una squadra che ha cambiato preparazione per mettere “benzina nel motore” rispetto al passato, e ad ottobre sembra già scoppiata; una squadra che non ha nemmeno molte certezze, e le poche che aveva finiscono regolarmente in infermeria, esattamente come accadeva nel recente e tanto vituperato passato.
E il timore che gli equivoci tecnici di ieri (leggasi: gli acquisti dei “Tiaghi” della situazione) siano stati ripetuti anche quest’anno.
A prezzi ancora più salati.
Esempio: toglietemi dagli occhi Felipe Melo, vi prego.
Toglietemi dagli occhi questo tizio che ogni partita crea situazioni di pericolo per la sua squadra, questo affare straordinario per la Fiorentina che, con gli scarti della Juventus sempre protagonisti, è appaiata ai bianconeri in classifica e fra due settimane renderà visita all’Olimpico di Torino con l’inerzia che fa presagire al sorpasso.
Ditemi che non siamo ancora qui a raccontare di una vaccata di “Mister 21,5 milioni più Marchionni”, che ha spianato la strada ad una squadra che stava sì meritando e aveva già surclassato la Juve, ma ancora non aveva avuto l’occasione più grande, occasione puntualmente fornita da quello che Dunga considera il centrale del suo centrocampo, ma che con noi è fonte di terrore sia di domenica che di mercoledì.
Ditemi allora che io non capisco un tubo, Melo è un fenomeno e Dunga è un genio.
Sarà, ma molto immodestamente non mi pare il caso, è meglio se mi raccontate che a Felipe Melo il selezionatore brasileiro affianca un mastino di quelli duri per davvero per mascherarne gli orrori difensivi, e allora andiamo d’accordo.
Un mastino, non Poulsen.
Poulsen, il danese con gli stivali che si limita al compitino e sui piedi del quale passano le due occasioni più nitide di tutta la partita della Juve, una sparacchiata a Punta Raisi e l’altra svirgolata da pochi metri da Sirigu.
Ma non è colpa di Poulsen se quella che passa per i suoi piedi non è roba per lui, come questa maglia non è e non sarà mai roba per lui.
E’ semmai colpa di chi quest’estate ha preferito tenere lui e cedere per pochi spiccioli Zanetti, e l’attribuzione delle colpe si completa con chi mette Poulsen assieme al brasiliano specializzato in assist agli avversari.
E, a questo proposito, Ferrara stasera ha fatto la figura del dilettante, bastonato da Zenga su tutti i fronti.
E non rincaro la dose per non essere maleducato.
Un 4-4-2 buttato in campo come se avesse giocato col Risiko nel pomeriggio.
Perché, al di là dei giochini numerici del prepartita, di questo si è trattato, con il danese a sinistra (col povero Grosso, difensivamente non un fulmine di guerra di suo, costretto a chiedere aiuto al biondino sempre in ritardo nell’aiuto), Melo e Diego in mezzo (dietro le punte ci è andato mezza volta, forse) e Camoranesi a destra.
Senza Marchisio il dinamismo del centrocampo, garantito dal ragazzo torinese, è andato a farsi benedire, e contro un Palermo che schierava gente da corsa pronta a pressare e a ripartire, avere due gatti di marmo in mezzo al campo è stata la mossa peggiore che si potesse applicare.
Per questo Camoranesi, l’unico che lascia sempre il cuore sul campo e non sappiamo quanto durerà a questi ritmi, torna a ricadere in atteggiamenti tipici dei tempi passati, quelli intrisi di nervosismo isterico.
Complimenti Ferrara, stasera hai dato ragione a chi ti considera inesperto e inadatto.
Uno schieramento del genere penalizza l’altro grande assente della serata, “Mister 25 milioni più diritti di procura al paparino”, al secolo Diego Ribas da Cunha, il quale non sarà al meglio e non sempre può trovare di fronte Cassetti o la difesa della Roma che prende gol con puntualità svizzera, ma in tre partite giocate questa settimana (attenuante: parecchie botte ricevute) non ha creato nulla per sé e ancora meno per le punte.
Non basta la punizione stampata sulla traversa.
Meglio a questo punto sarebbe schierare l’ex Werder Brema davanti e rinunciare ad uno dei due pesi morti avanzati.
Anche perché, se gli attaccanti del Palermo sanno cosa fare (movimenti, incroci, fraseggio, senza dare punti di riferimento), i nostri attaccanti sono allo stato attuale due punte da squadra di media classifica.
L’irritante Amauri, oltre a non segnare da una vita, non controlla un pallone che sia uno e si incaponisce nel solito movimento che gli avversari ormai neutralizzerebbero anche nel sonno, tanto è prevedibile e scontato fregargli puntualmente palla.
Iaquinta, novello Ravanelli?
Per piacere, non bestemmiamo: Fabrizio potrebbe querelare, con la certezza di vincere la causa a mani basse.
Gli uomini offensivi della Juventus hanno mostrato sufficienza e poca intelligenza, tentando di sfondare verticalmente e intasando l’area di rigore con una straziante trama di passaggini leziosi e colpi di tacco quantomeno inopportuni.
Che tristezza, ragazzi...
Il vecchio, inutile, immobile, “palo della luce”, “finito” (sono solo alcuni termini usati per definirlo in questi mesi) Trezeguet resta di un’altra categoria come numeri e credibilità, mentre l’assenza di Del Piero, uno che quattro anni fa era riserva della Juventus di Capello, ma che da Calciopoli in poi ha sempre segnato più di tutti, testimonia un segno dei tempi di magra; che la Juve debba ancora oggi piangere sugli infortuni di un trentacinquenne che mantiene (più che comprensibilmente) un rendimento elevato per pochi mesi la dice lunga sullo spessore tecnico, ma soprattutto caratteriale di questa squadra. Che prende due legnate nel primo tempo ma, se possibile, nella ripresa fa anche peggio, quando si getta senza idee nella metà campo avversaria, offrendo ai rosanero almeno 5 occasioni enormi per rendere il punteggio simile a quello che il Napoli costruì quella lontana sera di fine estate.
Ma per fortuna delle statistiche e del morale di Ferrara e soci, il Palermo che schianta la Juventus non è parente di quella squadra nella quale, ironia della sorte, Ferrara giocava.
Miccoli, nonostante questa Nuova Juventus tenti in ogni modo di dar ragione a chi lo consideri ancora una vittima degli abusi perpetrati ai suoi danni dagli orchi della Triade, resta Miccoli e non Maradona e Cavani non è Careca, gente con la quale segnava pure “pennellone” Silenzi.
Ferrara nel dopo partita ha ammesso molto sinceramente che stasera non ha funzionato proprio nulla, aggiungendo che parlerà faccia a faccia con i singoli.
Ma da Ferrara, che all’undicesima gara da allenatore conosce l’onta della sconfitta, ci aspettiamo che certi esperimenti vengano messi in soffitta per lasciare spazio a cose più concrete.

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