La Juve continua a crescere

delneriE’ stato bello assistere ad un prepartita stile vecchi tempi. E’ stato bello sentire la Filarmonica di Abbiategrasso eseguire l’inno di Mameli con la Juve in campo, con tanto di presidente Agnelli sorridente e per nulla intimorito dalla trasferta “delicata”, al contrario di Moratti, che a Torino non viene da anni.
Accanto a lui la splendida visione di Pavel Nedved, dirigente “in pectore”, uno che la nostra maglia la indosserebbe ancora oggi con onore e chissà quanto avrebbe pagato per giocare questa partita. Uno che, avvicinato da Caressa, ha risposto così all’immancabile domanda-carramba: “Se mi manca il campo? Adesso che ce l’ho qui ad un metro devo dire di sì”. Sapessi quanto manchi a noi, caro Pavel…
In attesa dell’ufficialità del suo ritorno in società, di sicuro a Nedved la Juve di stasera è piaciuta, come è di certo piaciuta ai suoi tifosi.
I bianconeri ripartono da dove avevano finito, cioè dalla prestazione del "City of Manchester", ed è confortante che fra le due gare Del Neri abbia rimescolato le carte e schierato uomini diversi ottenendo lo stesso risultato; ergo, è evidente che ci sia stata una crescita che sembrerebbe portare questo gruppo a diventare squadra.
Dopo un paio di incomprensioni iniziali (linee di difesa e centrocampo troppo staccate) Chiellini e soci hanno preso le misure agli avversari e nel corso della prima frazione di gara si è vista la miglior Juve della stagione; una squadra tatticamente disposta in modo impeccabile da Del Neri e altrettanto ben preparata sul piano della concentrazione.
L’Inter è sembrata sorpresa dall’atteggiamento di una Juve che si è mossa in maniera equilibrata ma parecchio pungente, soprattutto dal lato di Krasic, a tratti incontenibile e autore di iniziative che hanno portato i bianconeri a sfiorare più volte il vantaggio, addirittura trovato con Iaquinta purtroppo in evidente fuorigioco.
Nel frangente si sono distinti i mediani juventini: pronto a far ripartire l’azione con i tempi giusti Aquilani, preciso e senza sbavature Felipe Melo, mentre Marchisio, schierato sulla sinistra, ha coperto un De Ceglie a sua volta disimpegnatosi con rara efficacia in ripiegamento, decisamente una nota sorprendente in positivo.
Sulla fascia mancina scalava spesso Quagliarella nella doppia veste di esterno e rifinitore per Iaquinta, unico riferimento offensivo.
Ma se il napoletano ha giocato una gara tatticamente giudiziosa riuscendo pure a procurarsi le sue brave occasioni da gol (una colossale sulla quale è stato bravo Lucio a disturbarne la corsa), il calabrese si è reso più utile in fase difensiva (sulle palle inattive) di quanto non abbia inciso in attacco, dove ha collezionato la solita sequenza di scelte inopportune.
Si temeva la forza d’urto dell’Inter contro il nostro reparto difensivo, così deficitario almeno fino a sette giorni fa, e va riconosciuto che Grygera, com’era prevedibile, ha sofferto l’indemoniato Eto’o di questo periodo, ma aver tenuto il camerunense a secco è un motivo di vanto della retroguardia bianconera, anche quando l’ex del Barça è toccato in dote a Motta, sostituto di De Ceglie nella ripresa, con il ceko dirottato a sinistra e sostanzialmente in controllo su Coutinho e Maicòn, anche per il costante supporto di Marchisio.
Quanto ai centrali, Chiellini molto puntuale, Bonucci partito male ma molto cresciuto nel corso della gara, nonostante un paio di leggerezze che avrebbero potuto costargli care.
Anche se, applicando il metro di Banti, molto magnanimo nei confronti di Lucio, Stankovic e Aquilani, bisogna riconoscere che rischi veri e propri l’ex barese non ne ha corsi.
Paradossalmente alla Juventus ha nuociuto l’infortunio di Biabiany e il successivo inserimento di Milito, mossa obbligata che ha riportato l’Inter ad uno schieramento più collaudato, che a lungo andare l’ha resa più pericolosa di quanto lo fosse stata con l’ex parmense in campo.
Nerazzurre sono state le due occasioni più grosse della ripresa, con Maicòn (di testa) e Milito (di piede) a sfiorare il vantaggio a tu per tu con Storari, mentre per Julio Cesar i brutti pensieri sono arrivati da Quagliarella (su splendida imbeccata di Marchisio) e Krasic (dopo uno slalom entusiasmante).
Piuttosto qualche scricchiolio dall’ambiente nerazzurro sembra trapelare: dal Muntari che lascia lo stadio una volta conosciuta la propria destinazione (tribuna) alla troppa insofferenza fra compagni di squadra, che si mandano a quel paese e richiamano “energicamente” la panchina con troppa frequenza.
La squadra gioca un calcio più lineare e a tratti gradevole, ma sembra aver smarrito quella ferocia che aveva contraddistinto gli anni di Mourinho, che forse ha bruciato le riserve nervose di molti elementi, oggi distanti anni luce dall’intensità agonistica e dalla disponibilità al sacrificio mostrate nel recente passato.
Dopo lo sfogo di Chivu a Roma oggi è toccato al peraltro spento Maicòn inveire nei confronti del suo allenatore, reo di non aver provveduto ad una tempestiva sostituzione dell’acciaccato Biabiany.
E’ chiaro che conta anche lo stellone: solo quattro mesi fa Milito (un altro lontano dal rendimento del passato) avrebbe trasformato anche da bendato quell’occasione avuta davanti a Storari, oggi non succede più.
Buon per le avversarie dirette, e fra queste avversarie (rigorosamente tutte imperfette) potrebbe ritagliarsi un ruolo consistente anche questa Juventus, una squadra senza grandi acuti (se si esclude Krasic, che ha superato l’esame contro una grande), ma che comincia ad assomigliare a qualcosa di disciplinato e interessante.
Speriamo non sia un fuoco di paglia e soprattutto voglio fare i miei complimenti a mister Del Neri, con il quale in passato non sono stato tenero; ma gli devo riconoscere che, se questa squadra riuscirà  a risultare competitiva, il merito sarà soprattutto suo.

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