Un abito su misura per la Signora

montaliSe per curiosità i tanti giornalisti cantori di Calciopoli avessero avuto occasione di leggere trascrizioni di intercettazioni in materia di corruzione o di cupole criminali di qualsiasi natura, avrebbero tratto qualche elementare nozione sulle forme della comunicazione criminale.
Se si è parte di un unico contesto associativo, infatti, il linguaggio non è mai esplicito: non lo è non solo per prudenza, temendo di essere intercettati, ma soprattutto perché c’è un bagaglio di conoscenze condiviso, che non necessita di spiegazioni. Il linguaggio diventa per sua natura ermetico e, dove le conoscenze non sono condivise e debbono essere comunicate, le espressioni diventano minimalistiche e si rivestono di prudenza, ricorrendo a forme allusive o a termini convenzionali, oppure a indicazioni per relazione.
Per fare un esempio, se si desidera un appuntamento in un determinato luogo al riparo da occhi indiscreti, si potrà fare riferimento a qualcosa avvenuto in passato in quel luogo e noto ad entrambi gli interlocutori. Oppure, se si intende parlare di una persona, si potranno sentire usare parole come l’amico tuo, il parente mio, l’amico del giaguaro, secondo quelle che sono le comuni conoscenze o gli accordi preventivamente intercorsi.
Inutile dilungarsi sul tema, il concetto dovrebbe essere chiaro: chi è parte di un associazione criminale sa che cosa fa l’associazione e non ha bisogno di spiegarlo agli associati.
Se ora ci portiamo sul terreno delle conversazioni di Calciopoli, noteremo che, al di là di qualche sporadica prudenza, il linguaggio è totalmente esplicito, anzi volutamente ed enfaticamente esplicito, perché questa è la realtà del mondo del calcio nostrano, una sorta di mercato delle vacche, dove si cerca di ottenere a poco il meglio e di rifilare il peggio agli avversari. Gli operatori non vengono da Cambridge, da Oxford o dalle prestigiose università degli U.S.A., ma nei fatti si comportano né più né meno come quelli, ovviamente con meno charme.
C’è differenza tra rifilare Carini in cambio di Cannavaro e rifilare in Borsa un aumento di capitale al parco buoi, che acquista a 6 ciò che, dopo il collocamento, si quota a 4? Nella sostanza no, ma a ben vedere una differenza c’è: che nel primo caso l’autore del bidone era ritenuto dalla vittima persona inaffidabile, ma ciò nonostante il bidonato era convinto a sua volta di fregarlo. Situazione che non ritroviamo invece nell’altro esempio del parco buoi, dove il risparmiatore, dovendo fare i conti con la propria scarsa conoscenza tecnica, fa affidamento sul buon nome e sulla bontà del collocatore.
Molte delle telefonate parlano di questo e non si capisce che attinenza abbiano con le tesi sulla “cupola”. Sono semplici note di colore e di folklore, aneddoti utili ad avvinazzati avventori del Bar dello Sport. Poi ci sono le telefonate relative ai rapporti con le istituzioni calcistiche, anch’esse improntate ad un linguaggio esplicito, indicativo di inopportuni rapporti confidenziali, ma non si trova mai un accenno allusivo o una frase enigmatica che facciano sospettare l’esistenza di flussi sotterranei di danaro o di una regia volta ad influenzare l’esito del campionato o di singole partite. Gli unici riferimenti in tal senso riguardano la Lazio, la Fiorentina e il Milan ( si veda Meani, bandierina su/bandierina giù, maccheroni alla carbonara con Collina), ma che non riguardano mai la Juventus, quantomeno nella stessa intensità ed evidenza.
Non ripercorriamo i travisamenti fatti dalla stampa del contenuto di molte intercettazioni sui sorteggi truccati e sulle ammonizioni preventive, fatti esclusi dagli stessi giudici sportivi. C’è l’episodio del sequestro dell’arbitro Paparesta - si badi, associato anch’esso alla Cupola e sequestrato dal capocupola - con il sequestratore che se ne va, lasciando il sequestrato dentro uno stadio pieno di gente: roba da ridere in Tribunale, buono per seriosi corsivi di opinionisti.
C’è la famosa telefonata sulla griglia arbitrale, relativa ad una sola giornata di campionato, anch’essa del tutto esplicita, che a ben vedere è una sorta di gioco tra Moggi e il designatore, nel quale il dirigente della Juve, sulla base delle regole applicabili conosciute, anticipa la sua personale griglia, quasi coincidente con quella preparata dal designatore. Familiarità eccessiva e inopportuna, ma ragionevolmente un po’ poco per finire sulla griglia lui, Giraudo, la Juve e milioni di tifosi.
Eppure così è andata a finire.
Parallelamente, non si hanno notizie di telefonate nerazzurre, che il designatore Bergamo dice essere avvenute ( e un riscontro oggettivo lo si ha nella parte di inchiesta svolta a Torino ), così come non si hanno notizie di analoghe telefonate che l’arbitro De Santis dice a sua volta essere avvenute e di essere in grado di dimostrare attraverso i tabulati in suo possesso ( come la mettiamo se non dovessero esserci tra le intercettazioni di Napoli?).
La cosa non desta molto interesse in giro, essendo tutti intenti a lambiccarsi con le schede svizzere per dimostrare che Moggi - questo sì che interessa - aveva contatti diretti con gli arbitri.
Ma come, ce li aveva l’Inter, a dire della stessa Inter, con Nucini ( una carriera finita in fumo dopo la collaborazione occulta con la squadra di Moratti ) ed anche con De Santis, a dire di questi, oltre che con Bergamo. Con il che anche un imbecille realizza che per i candidi cantori di Calciopoli non è la condotta che fa il crimine, ma l’autore. I cultori del diritto penale inorridiranno, pensando a quale scuola di pensiero gli sciagurati cronisti si sono accomunati.
Noi non abbiamo motivo di dubitare di quel che dicono Bergamo e De Santis, se non altro perché nessuno si è preso la briga di approfondire la faccenda con loro, e quindi supponiamo che quelle telefonate giacciano inascoltate tra le migliaia di intercettazioni di Napoli e che prima o poi avremo il piacere di vederle pubblicate sulla Gazzetta dello Sport, fosse anche tra la pagina dei programmi TV e quella degli annunci pubblicitari.
Resta ora da chiederci se, al di là di malevoli intenti degli inquirenti, non possano esserci altre ragioni che hanno portato ad enfatizzare tutto ciò che avesse attinenza con la Juve, Moggi e Giraudo, riconducendo a questi, sotto la coppola della cupola, anche fatti di pertinenza di altre squadre come Lazio e Fiorentina e, viceversa, a trascurare quei rivoli cui accennano, inascoltati, Bergamo e De Santis.
Discorso a parte meriterebbero le posizioni del Milan, di Meani e di Galliani, troppo debordanti per poter essere incupolate anch’esse, sicuramente non trascurate dagli inquirenti, ma tenute in galleggiamento ope unctionis nei vari gradi di giudizio sportivo fino all’approdo vittorioso in Champions.
Si tratta quindi di capire se per caso non abbiano operato anche degli automatismi investigativi o dei fattori tecnici propri del mezzo di prova qui quasi esclusivamente utilizzato, le intercettazioni telefoniche appunto, a far sì che tutto ciò che vestisse di bianconero servisse a tenere insieme e spiegare il tutto.
Una prima notazione si impone per chiarire che in una indagine basata su intercettazioni telefoniche verso centinaia di utenze si accavallano all’ascolto decine di operatori per migliaia di telefonate ed il problema che si pone in prima battuta è stabilire quali telefonate sono rilevanti per le indagini e quali no: se una telefonata già da sola presenta un contenuto con un significato autonomo, essa può essere confrontata dall’operatore con le linee guida delle indagini e quindi valutare la sua rilevanza. Così già si forma una prima selezione. Se una telefonata da sola non presenta un significato pregnante in rapporto alle linee guida delle indagini, ma lo acquista solo se posta in relazione ad altra telefonata o a più telefonate, anch’esse da sole non significative, le probabilità che questo materiale venga evidenziato dagli investigatori come rilevante è legato a due circostanze: che le varie telefonate siano ascoltate dallo stesso operatore e che questi ne colga il senso per relazione.
Lo stesso dicasi per telefonate che, in relazione ad altre, evidenzino reati fuori delle linee guida delle indagini. Quanto maggiore è la mole delle conversazioni intercettate, tanto più alta è la probabilità che materiale rilevante si disperda e si nasconda nel mucchio. Attraverso questo ulteriore meccanismo si forma automaticamente una selezione sempre più ristretta. Quanto più le linee guida delle indagini sono specifiche e dettagliate, tanto più gli automatismi sopra visti produrranno effetti di ritaglio mirato.
Si potrebbe continuare ancora, ma quanto detto è sufficiente per capire il concetto. Si tratta ora di analizzare cosa si intenda per linee guida di un’indagine. È quell’assieme di conoscenze sui soggetti sospettati, derivato dai loro precedenti, dalle loro frequentazioni reciproche, dal loro tenore di vita incompatibile con attività lecite e compatibile con attività illecite, da confidenze. Tale assieme è connotato dall’essere riferibile all’idea investigativa da sviluppare. Si giunge alla formulazione di una ipotesi di indagine dopo attività di ricerca su banche dati, accertamenti patrimoniali e finanziari di vario genere, raccolta di informazioni attraverso attività di pedinamento e osservazione sulle abitudini di vita, ricerche di stampa e su internet, confidenze di persone conosciute che desiderano restare anonime.
Tutto ciò normalmente non fornisce un quadro indiziario sufficiente per far avviare un’indagine vera, ma si tratta di una molteplicità di elementi mirati che possono fungere da riscontro ad altri indizi, quali possono provenire per esempio da dichiarazioni formali di testimoni o di indagati collaboranti. Unendo dichiarazioni e riscontri si forma quel mix indiziario sufficiente per iniziare un’indagine vera, nel caso che ci interessa con massiccio ricorso allo strumento della intercettazione telefonica e ambientale.
Cerchiamo ora di capire come sono andate le cose in Calciopoli: meglio sarebbe disporre degli atti iniziali dell’indagine per dedurre l’iter cronologico della formazione delle linee guida, ma in mancanza l’analisi delle informative della polizia giudiziaria potranno essere di aiuto. Sfogliando l’informativa dell’aprile 2005, la prima di un certo rilievo riassuntiva delle indagini fin lì svolte dai Carabinieri e trasmessa alla DDA di Napoli, si può notare come nell’introduzione di carattere generale ci sia una citazione di dettaglio, in quella sede fuori luogo a meno di attribuirle, come in effetti si fa, grande importanza nell’economia delle indagini: mi riferisco alla citazione delle dichiarazioni di Dal Cin, un amministratore di società di calcio concorrente, circa l’esistenza di una combriccola romana di arbitri facente capo all’arbitro De Santis e tramite questi allo stesso Moggi.
Come si vede una fonte di prova non disinteressata viene acriticamente assunta come dato fondamentale di indirizzo delle indagini, tanto da meritare una citazione, unica in tutta l’introduzione dell’informativa.
Da qui si trae una prima conclusione: in assenza di altre fonti di pari affidabilità e forza l’oggetto delle indagini e delle intercettazioni si era quindi indirizzato su Moggi, su De Santis e sugli arbitri della combriccola romana asseritamente legata a quest’ultimo.
Ove fossero emersi dalle stesse intercettazioni fatti non riconducibili ai soggetti o allo schema sopra indicato, a meno di configurare palesemente dei reati i fatti stessi necessariamente non avrebbero attratto l’attenzione; viceversa qualsiasi conversazione attinente o ai soggetti o all’ipotesi investigativa tracciata da Dal Cin sarebbe stata registrata da quel momento in poi come potenzialmente rilevante per le indagini.
Più avanti, nella parte di informativa intitolata “premessa”, si fa riferimento ad ulteriori fonti di prova di contorno alla fonte Dal Cin, le dichiarazioni di Spinelli, presidente del Livorno, e di Canovi e Morabito, agenti di calciatori concorrenti della GEA, citati unitamente al già nominato Dal Cin, ma evidentemente meno importanti di quello per non essere stati citati nell’introduzione.
Tanto ciò è vero che sul nome di Moggi si trovano addirittura riscontri retrospettivi, quali procedimenti sportivi e giudiziari sfociati in nulla (sic) e scandali giornalistici risalenti al tempo in cui lavorava per la Roma (una cena con la terna arbitrale nel 1979 prima della partita Roma-Ascoli, vinta poi dalla Roma) o per il Torino (le famose squillo assoldate per la terna arbitrale prima di alcune partite di coppa UEFA), oltre a numerose altre cene arbitrali, irruzioni negli spogliatoi degli arbitri e amenità minori, fino a ricordare la storia dei Rolex per gli arbitri offerti dalla Roma, peraltro preoccupandosi di definire goffo il tentativo romanista di scalfire in tal modo il potere della Cupola. Ci vuole ben altro che dei Rolex! Tanto era goffo, che l’Autorità Giudiziaria di Roma archiviò il caso, pur ignorando l’esistenza di una Cupola… Non manca ovviamente il gol di Cannavaro in Juve-Parma, annullato da De Santis, con il carabiniere improvvisato alla moviola ma sicuramente meglio di Pistocchi, se può consolare. Nulla di particolare da segnalare, invece, per il periodo napoletano di Moggi, epoca di momentanea redenzione del Nostro.
Sul passato di Moggi, del tutto irrilevante per quanto concerne la prova dei fatti oggetto delle indagini, si raccolgono notizie di stampa e dichiarazioni varie, il tutto per colorare la spregiudicatezza del soggetto e quindi rendere verosimile l’oggetto delle indagini, anche senza la pretesa di raccogliere delle prove.
Vengono di fatto spulciati gli archivi della Figc e di molti giornali per poter affermare che Moggi ha un passato, speso presso squadre mai lambite da indagini e sanzioni di qualche peso, tale da rendere fortemente credibile quanto dice Dal Cin, sul cui profilo personale non si fa menzione.
Cosa c’entri tutto questo con Calciopoli non è dato capire, ma una morale la si può trarre: puoi regalare Rolex d’oro, puoi assoldare prostitute, puoi portare a cena terne arbitrali e quant’altro, ma abbi cura di farlo quando sei al servizio di squadre diverse dalla Juventus.
Anzi, si può dire di più: non basta farlo per altre squadre per essere immuni da conseguenze, ma occorre anche evitare di passare successivamente al servizio della Juventus, perché quelle simpatiche debolezze giovanili di allora potrebbero assumere rilevanza retrospettiva, diventando retroscelleratezze di oggi.
A seguire nell’informativa troviamo poi un breve cenno alle schede svizzere con traffico telefonico “italiano” – siamo nel 2005! – senza alcun cenno alla loro mancata intercettazione e poi via con il commento delle intercettazioni oramai stranote. Con il che siamo già dentro le indagini, così come impostate con i criteri sopra indicati: le dichiarazioni di Dal Cin soprattutto, disvelatore della “combriccola romana”, e poi a contorno quelle di Spinelli, Canovi e [/b]Morabito[/b]. Riguardo a queste ultime tre fonti si può supporre, in attesa di poter leggere i verbali, che abbiano riguardato più specificamente la Gea ed i rapporti tra questa, i giocatori, gli altri procuratori e le società e che quindi non abbiano avuto alcun riferimento alla “combriccola romana”, di cui parla il solo Dal Cin.
Chissà che un giorno a qualcuno non venga la curiosità di controllare i contatti personali e telefonici di Dal Cin nei giorni precedenti alla sua comparsa sulla scena delle indagini napoletane... Perché è da qui soltanto che traggono origine e direzione le indagini sulla Juventus: chi è fuori è fuori, chi è dentro è dentro.
Il completo a strisce bianconere verticali per la cliente è così prontamente allestito. La Signora lo indossa e simpaticamente ringrazia.