SPECIALE CALCIOPOLI: la logica del tribunale riguardo alle frodi sportive /3: cosa non ha funzionato

moggi_avvocati01Continuiamo la nostra miniserie di articoli dedicati alla sentenza di primo grado di Calciopoli con particolare riferimento alle condanne subite dall’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi.
 
 
Concludiamo questo “Speciale Calciopoli” occupandoci di una serie di argomentazioni logiche di carattere generale portate dalla difesa durante il dibattimento e la discussione. Prima di entrare nel merito specifico di ciascuna condanna, il collegio giudicante affronta alcuni temi che, per un motivo o l’altro, poi scarta esplicitamente nella sentenza. Sentenza dalla quale bene o male bisognerà ripartire se si vuole riuscire ad ottenere finalmente giustizia dopo tanti anni di processi penali, sportivi e mediatici.
A chi come noi ha seguito questo processo molto da vicino appare abbastanza palese come il lavoro del pool di difensori e di collaboratori dell’ex dirigente bianconero fosse finalizzato non soltanto alla stretta difesa processuale al fine di ottenere l’assoluzione, ma anche a completare il quadro storico che era stato presentato in modo molto distorto nel 2006 ad uso e consumo del sentimento popolare anti-juventino. In questi sette anni, tanto è ormai trascorso dalla farsa sportiva chiamata “Calciopoli” costata alla Juventus due scudetti e la serie B e a Luciano Moggi, oltre appunto alla condanna in primo grado, anche la radiazione in ambito sportivo; e il pool di specialisti di Moggi è riuscito molto efficacemente a contestualizzare l’ambiente del calcio italiano, “dilaniato da recriminazioni di vario tipo, spesso affidate alla stampa, e dominato dal sospetto, con conseguenza di reazione scomposta, oltre misura, così dovendo qualificarsi le reciproche spiate” (pag. 102, nelle motivazioni della sentenza).
Quindi il contenuto del presente articolo non vuole suggerire un giudizio sull’attività specifica in funzione dell’assoluzione del loro assistito da parte degli avvocati difensori dell’ex mago delle trattative bianconere, chiamato nel 1994 dall'indimenticato Dottore Umberto Agnelli a dirigere la società torinese assieme a Giraudo e Bettega, bensì evidenziare cosa è stato, al vaglio del tribunale di primo grado, considerato ininfluente ai fini del giudizio finale, che rappresenta volente o nolente la base di partenza per il processo d’appello.
I giudici, prima di controbattere le argomentazioni della difesa, ricordano come che "così come hanno sostenuto le difese, è emerso in maniera chiara e sufficiente" (pag. 90) che i sorteggi non fossero truccati. Anzi, "incomprensibilmente il pubblico ministero si è ostinato a domandare ai testi di sfere che si aprivano, di sfere scolorite, e di altri particolari della condizione delle sfere, se il meccanismo del sorteggio, per la partecipazione ad esso di giornalista e notaio, era tale da porre i due designatori, Bergamo e Pairetto, nell’impossibilità di realizzare la frode" (pag. 90).
Ciò detto, passiamo alle varie questioni poste dalla difesa.
La “questione della formazione delle griglie”: il tribunale ritiene che “non sono in radice impeditivi del giudizio di responsabilità gli emersi, ma pur sempre contenuti, limiti, in cui era dato ai designatori di esercitare la discrezionalità tecnica. È stato chiarito al dibattimento che la formazione delle griglie era atto proprio dei designatori, e che era questo il momento fondamentale di impostazione dell’arbitraggio delle partite, idoneo a incrementare le possibilità che per una determinata partita fosse scelto in concreto un arbitro gradito a un competitore e sgradito all’altro” (pag. 96). Per il collegio, quindi, non acquista importanza il fatto che le griglie fossero per molti versi quasi obbligate, in quanto erano in ogni caso formalmente di competenza dei designatori arbitrali. Dunque, fare rilevare ad un designatore che l’arbitro Tizio o Caio sarebbe da prima fascia costituisce un’ipotesi di reato di pericolo, anche nel caso in cui fosse obbligato mettere Tizio o Caio nella prima fascia per via di vincoli e preclusioni. Il tribunale inoltre sfrutta anche l’occasione per attribuire grande importanza al momento della designazione, ricordando che “continuava a dare causa a recriminazioni e sospetti, anche dopo l’abbandono della designazione diretta conosciuta dagli altri ordinamenti dello sport del calcio, diversi da quello nostrano, e ritenuto il più conforme all’interesse dello sport dalla UEFA (vedi deposizione Carraro), e pure dall’arbitro Collina.
Ciò, per volontà di taluni presidenti delle squadre di calcio, i più potenti, le sette sorelle (...), che dai due designatori, dai caratteri manifestamente diversi, apparsi a tutto tondo al dibattimento, in buona sostanza si aspettavano il controllo dell’uno sull’altro, cosa poi non realizzatasi nei termini di cui all’aspettativa
” (pag. 97). Il motivo di questa enfasi è abbastanza ovvio: tolta di mezzo la bufala dei sorteggi alterati, come abbiamo visto nelle motivazioni relative agli specifici capi d’imputazione, le griglie rappresentano l’ultimo livello possibile per poter configurare una qualche “remota” o “marginale” influenza sulla gara da dare in pasto al reato di pericolo, senza dover coinvolgere l’arbitro della partita.
Lagenesi e i metodi d’indagine”: Il riferimento qui è esplicito sia al rapporto tra Baldini e Auricchio, sia alla “durata degli esami delle persone informate dei fatti non corrispondenti alla consistenza dei relativi verbali" (pag. 101). Il risultato delle argomentazioni degli avvocati sulle tante anomalie di queste indagini a senso unico della squadra Offside viene giudicato dal tribunale “non travolgente a favore per la difesa” (pag. 101). Il collegio giudicante motiva con il fatto che “il dibattimento è il luogo in cui si forma la prova, quel che conta è quello che le dette persone hanno dichiarato al dibattimento, costringendo lo stesso pubblico ministero, che li ha presentati come testimoni, alle reiterate contestazioni, ad esempio, e in maniera plateale, nei confronti del teste Martino Manfredi, nonché a incassare l’esternazione a freddo del teste Baldini, in coda di suo esame, indicativa del malanimo con il quale ha dato avvio alla collaborazione con l’investigatore ufficiale Auricchio”.
Come dire, non ha importanza se abbiano o meno indagato a senso unico utilizzando il malanimo di un competitore che negli anni non faceva altro che prendere sonore bastonate sportive sul campo da gioco e se abbiano fatto o meno pressione sulle testimonianze per costruire qualche capo d’accusa. Ciò che conta è quello che viene ripetuto e contestualizzato in dibattimento. Quindi il tribunale in un certo senso sdogana eventuali indagini ad personam ledendo il diritto di un cittadino ad essere trattato come tutti gli altri, se queste indagini alla fine producono qualcosa di utile, ad avviso del tribunale, per condannare.
Non ci addentriamo oltre su questo terreno lasciando ciascun lettore libertà di interpretare ciò che è stato scritto in sentenza. Ci limitiamo però a far rilevare che i giudici sostanzialmente confermano quello che chi collabora a questo sito sa da tanto tempo, almeno dallo strano discorso di John Elkann nella pausa di Juve-Palermo del 7 maggio 2006, “siamo vicini alla squadra e all’allenatore”, quando l’erede della galassia FIAT in fretta e furia scaricò la triade, ovvero che Farsopoli è circondata da tante misteriose circostanze e tutte in un modo o nell’altro a discapito dell’imputato principale, Luciano Moggi.
Il “non corretto uso dell’atto investigativo dell’intercettazione”: questo aspetto si ricollega al precedente e allo strano modo di procedere degli investigatori e affronta il tema della trascrizione a singhiozzo di conversazioni "succedutasi all’iniziale (data 21/12/09: deposito prima perizia, data 15/9/10: deposito di seconda perizia, data 8/2/11: deposito di terza perizia, data (8/4/11: deposito di quarta perizia)" (pag. 102). Qui il giudizio è misto perché, se è vero che “formalmente non è mancata la discovery completa degli atti compiuti nella fase delle indagini, per deposito degli atti dell’indagine preliminare ex art. 415 bis c.p.p.” (pag. 102), nella sostanza il tribunale sottolinea però che la difesa ha “incontrato gli ostacoli di cui si è accennato nello svolgimento del processo” (pag. 102). Ciò tuttavia “non è, ad avviso del collegio, circostanza tale da procurare un effetto di processo ingiusto, per violazione del diritto di difesa, pur se indubitabilmente sarebbe stato opportuno avere, a suo tempo, maggiore considerazione per il principio di proporzione” (pag. 102).
Prendiamo dunque atto ancora una volta dell’ammissione istituzionale che in questo processo c’è tanto di cui lamentarsi, ma che in definitiva con un po’ di ago e filo e chiudendo uno e qualche volta due occhi sulle enormi incongruenze e contraddizioni nella raccolta e presentazione delle presunte prove a carico degli imputati, una sentenza di colpevolezza tenuta assieme con lo scotch è possibile pronunciarla comunque.
Le “schede svizzere” le abbiamo già trattate in un precedente articolo di questo "Speciale Calciopoli"  cui vi rinviamo.
 
 
Per concludere, le argomentazioni esposte non sono quindi riuscite a smuovere i seguenti teoremi:
- l’astratta, e in ogni caso “marginale” e “remota” influenza sul “leale e corretto svolgimento” di una gara di chiacchierate (nel frattempo ben contestualizzate) ed incontri a monte della composizione delle griglie di sorteggio;
- l’astrusa teoria delle “ammonizioni preventive” introdotta nel mondo del calcio dall’ex addetto all’arbitro legato al Milan, Leonardo Meani, e incredibilmente  considerata meritevole dai giudici;
- la quasi comica, teorica ed indiretta influenza sulla personalità e le decisioni in campo dell’arbitro di chiacchierate con esponenti del processo televisivo di Biscardi;
- e naturalmente la sgangherata teoria delle schede straniere del maresciallo Di Laroni, l'attribuito possesso delle quali tuttavia, lo ricordiamo ancora una volta, non è di per sé motivo di condanna.
Ai difensori di Luciano Moggi spetta quindi il compito, o di smontare direttamente quest’ultimo, oppure tutti gli altri teoremi che in combinazione con le sim svizzere hanno portato alle condanne. Meglio ancora se entrambe le cose in contemporanea, cosa che ovviamente ci auguriamo maggiormente, perché paradossalmente resterebbe, anche in assenza di tessere rossocrociate e solo con le conversazioni e gli incontri tra dirigenti e relativa influenza sulle griglie, il rischio residuo di trovare un giudice capace di inventarsi un'associazione per delinquere senza il benché minimo coinvolgimento di arbitri, a quel punto non possessori di fantomatiche schede, né coinvolti in chiamate dirette sulla linea nazionale.
 
 
In ogni caso seguiremo l’evolversi di questo processo come abbiamo sempre fatto e come faremo fino a quando l’ultimo giudizio sarà stato emesso.
 
 
 
 
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