La POP ART ai tempi di Guido Rossi

guidoAndy Warhol sosteneva che a ognuno prima o poi verrà concesso un momento di notorietà. Ma, si sa, "Andy Warhol era un coatto" e come tale probabilmente anteponeva la forma alla sostanza.

Guido Rossi il suo attimo di notorietà l’ha avuto nell’estate di quattro anni fa, quando la Coppa Zaccone non era ancora stata inventata e tutto procedeva come sempre. La Juve vinceva sempre (lo scudetto), il Milan andava sempre in finale di Champions (e spesso la vinceva), la Roma rosicava (sempre) e l’Inter non vinceva mai (niente). Ma tant’è, le cose cambiano, tutto scorre e le l’etere, si sa, non è come il pallone. Non è rotondo e sgusciante intendo, è etereo (quello sì) ma mica tanto sfuggente. Qualche signore intercettò tutto questo etere e lo consegnò a Guido Rossi sotto forma di celebrità.

Guido Rossi o, come lo chiamano in molti, “Guidone” (copyright “The Economist”) è uno bravo. Ma bravo davvero, intendiamoci. Uno, per intenderci, che quando andò a studiare ad Harvard sarebbe potuto diventare un cervello in fuga. Ma non fuggì. Ritornò e divenne Guido Rossi e non un Guido Rossi qualsiasi, ma proprio quel Guido Rossi. Certo nome e cognome non erano da principe del foro, non propriamente stigmate da rampollo di nobil casato. Ma forse già nel nome c'era il destino di un italiano qualsiasi destinato a diventare il più qualsiasi di tutti.

Guido Rossi ha fatto tutto, e tutto al meglio e ai massimi livelli, ma nessuno lo conosceva davvero fino ad allora. Sì, certo, aveva ricoperto ruoli di altissima responsabilità ed era anche stato in Parlamento, ma la notorietà quella vera è un’altra cosa. Quella, per intenderci, per cui ti riconoscono per strada, quella che dovrebbe infastidire quelli come lui; quella di quelli nati calciatori, veline, rockstar o figli delle stelle. Lui, ecco, una stella in senso proprio non lo era mai stato: né cadente, né ascendente, e forse avrebbe sempre desiderato accendersi almeno per un po’, ma non gli era mai riuscito, fino a quel giorno di una sera di maggio.
L’occasione era ghiotta, Guido Rossi la carpì e con essa carpì il diem e i sogni di molti di noi.

Guido Rossi disse sì ai suoi e accettò di diventare il Commissario Straordinario della FIGC. Non so quanti altri Giuristi d’Affari così eminenti e apprezzati avrebbero accettato un incarico così esposto. Molti suoi colleghi probabilmente avrebbero declinato l’invito: forse più per snobismo o codardia che per disinteresse, ma lui invece no. Decise di accettare e di diventare per un'estate il Signor Rossi più famoso d’Italia, sconvolgendo la geografia pedatoria del bel paese, diventando il primo Commissario Campione del Mondo della storia e concedendosi ai flash dei fotografi in abito bianco (Yes he can) e maglia azzurra col suo nome in calce. Una di quelle foto ricordo che tanto piacciono ai pizzaioli emigranti di Monaco di Baviera. Italiani di ventura approdati in Baviera dopo un viaggio della speranza circa trent’anni fa e che tifano, tutto l’anno, per i figli, mammà e la Nazionale. E che, l'estate dei Mondiali per loro riscatta tante estati fa.
Lui, Guido Rossi, accettò, si concesse a quell'orgia di notorietà e di scandali, come se per un giorno i sacri testi del diritto, il business quello vero e la politica economica non contassero più. Per lui esistettero solo Albertini, Lippi e Cannavaro. Fece sentire la sua voce, urlò, rimbrottò e tifò come il più sfegatato degli sfegatati. E alla fine decise che aveva fatto bene così. A tifare per la Nazionale, per il calcio e per la sua Inter, della quale era stato per tanto tempo Consigliere d’amministrazione, sì per tifo, ma anche per vicinanza d’affari a Telecom, Pirelli e varie ed eventuali.

Anche il suo momento d’oro e lustrini finì. Un'estate glamour, si sa, non è eterna, ma prima di dirsi addio voleva anche lui il suo souvenir. Uno di quei soprammobili tanto uguali tra loro, ma tanto diversi da quelli autentici. No, non si regalò una torre Eiffel in miniatura, non un papiro egiziano Made in China o un magnete da frigorifero. No, non la maglia “I Love Berlino”. Volle di più: si regalò il più fake di tutti i fake.
Non un paio di “Nike – Mike”, non una felpa “West Company”. No. Si regalò uno scudetto: uno vero (o quasi). Ma non riuscì neppure a farlo da solo, si fece aiutare, forte del branco, da tre amici: due italiani e un tedesco (come nelle barzellette). Li fece diventare tre saggi e dopo non ne volle saper più nulla. Resto a rimirar il suo tarocco tricolore e tornò da dove era venuto (Telecom), si rifugiò nel suo dorato anonimato, col suo cognome così mimetico, per poi finire il suo lavoro in casa FIAT.


Ma Guido Rossi è stata solo un'illusione collettiva, un'icona Pop, la Marylin Monroe degli anti-juventini. Hanno sublimato le loro chiacchiere da Bar Sport con un’allucinazione estiva.

Lui non ha fatto nulla, non è esistito, non è stato lui a dare lo scudetto all’Inter, l’ha ricordato lui stesso in questi giorni ed ha ragione.

E’ stata la volontà popolare, sono stati i sogni di generazioni e generazioni, le frustrazioni di 17 anni senza scudetto. E’ stato Turone. Sono stati Ronaldo e Ceccarini. E’ stato Claudio Zuliani. Sono stati tutti loro. Ma in fondo, è solo colpa di Andy Warhol.