Siamo noi, siamo noi...

tifosi

Con gli occhi ancora lucidi e le immagini di un'intera stagione che scorrono veloci nella mente. Una stagione indimenticabile, quella del ritorno ufficiale della Juventus dopo sei anni, dopo che avevano provato ad ucciderla, poi ad anestetizzarla, a normalizzarla. E invece è ancora qua, non ha perso neppure un cromosoma del suo dna. E' il mio primo scudetto da "torinese", e se volessi montarmi un po' la testa potrei dire che altro che Conte, Agnelli o Pirlo: il vero top player della Juve sono stato io, centro al primo tentativo.
Lo scudetto della terza stella vissuto per intero nella città della Juventus, vissuto per una stagione intera in compagnia di amici veri, in una sala che ogni domenica o sabato diventava un pezzo di Curva Scirea, e qualche volta anche allo stadio. Sempre in formazione tipo, sei gobbi e un granata (ebbene sì, ma è uno buono); per la serata finale con l'aggiunta di due amici in più, giunti da Roma con la speranza di fare festa. Spalti gremiti, come si diceva una volta, praticamente solo posti in piedi e nessuno spiraglio libero perché la tensione si insinuava anche nei pochi anfratti liberi. Noi e Loro, lo stomaco chiuso come nelle migliori occasioni, in tutti quanti la sensazione non riferibile che questa sì poteva essere la serata giusta, quella aspettata per sei lunghi anni, tra gioie effimere e indicibili sofferenze, con una Juve che non era più se stessa e che quasi ti levava la voglia.

Quando la lunga attesa è finita, in un amen siamo già in vantaggio. Il nostro boato arriva fino in Piazza San Carlo, ne sono sicuro. Ma l'avevamo sbloccata presto pure col Lecce, quindi c'è poco a stare tranquilli. E poi quelle facce, per una volta, sono uguali alle nostre. La nostra tensione, i nostri visi tirati sono i loro, e infatti non è la solita Juve, non siamo quelli brillanti di sempre. La sentono loro come la sentiamo noi, è evidente. Ma è anche normale, in fondo quelli che hanno vinto qualcosa si contano sulle dita di una mano, e pure loro, nonostante l'esperienza, sembrano patire il momento dell'appuntamento con la storia: Buffon perché viene da quella cosaccia col Lecce, Pirlo perché deve prendersi la sua rivincita verso chi l'ha scaricato come un ferro vecchio, Del Piero perché... è in panchina. Rimane Chiellini, l'ultimo reduce di quello scudetto scippato del 2006, vinto da comprimario in quella squadra schiacciasassi che troppo fastidio arrecava a lorsignori.
Poi segna anche l'Inter, ma il commento è unanime: stiamo calmi, pensiamo prima a chiudere la nostra. E poi arrivano notizie di "goldimuntari" alla rovescia, e di rigori alla milanista. Dov'è la novità? Dicevamo: pensiamo a noi che è meglio.
Fine primo tempo, 15 minuti a provare inutilmente a scrollarsi di dosso un po' di tensione, tentativo velleitario come da copione. Si riparte e subito il goal del Milan: chettelodicoaffare, presagi più cupi delle nuvole che si addensano sul Nereo Rocco; lì piovono gocce che sembrano i fantasmi di Perugia, noi continuiamo a fare fatica. Poi improvvisamente il corso della storia decide che è finita l'ora di scherzare, riprendiamo lentamente in mano la partita mentre di là stavolta il rigore arriva dalla parte giusta. Dai dai dai.
Però, cazzo, continuiamo a non farlo 'sto benedetto secondo goal. Finalmente leva Matri a furor di sala, ma non per Del Piero come ci saremmo aspettati. Mugugni, tensione che si accavalla a tensione. E invece la mette dentro proprio Borriello, che Conte ha sempre ragione, c'è poco da fare. No, non è Borriello, è autogoal ma chissenefrega, siamo 2-0 finalmente. E poi mi giro verso Stefy che ha l'auricolare su radio uno. Come rigore? Un altro? Non ci posso credere. Non abbiamo il coraggio di cambiare canale, la scaramanzia a volte ti fa essere più scemo del solito. Dai amore, alza 'sto pugno, esulta, dicci che è goal... SI'!!! E' goal!! Come se l'avesse fatto Del Piero. Da lì in poi è solo conto alla rovescia, arriva pure il quarto, giusto per farci ricordare quanto sappia essere ironico il destino quando ne ha voglia (un po' come Vucinic): 0-2 da una parte e 4-2 (ma alla rovescia) dall'altra, come il 5 maggio di 10 anni fa, stavolta cade il 6 perché è bisestile, mi pare ovvio.
E' finita... Lacrime, abbracci, urla, cori, quelli che aspettavamo di cantare da sei, lunghissimi anni: "Siamo noi, siamo noi, i Campioni dell'Italia siamo noi". Ci godiamo un po' la festa di Trieste e poi ci tuffiamo per strada, a sfogare quello che è rimasto dentro in tutto questo tempo. La Torino che, secondo qualche osservatore superficiale, sarebbe granata stasera è la città più bella del mondo, ed è vestita dei due colori più belli. Da Piazza Statuto lungo via Garibaldi fino a Piazza Castello, e poi Via Roma per raggiungere l'ombelico di ogni festa scudetto, Piazza San Carlo. E sono canti, cori, abbracci con gente che non hai mai visto prima ma che in quel momento è come fosse tuo fratello, perché in quell'istante per te e per loro conta una cosa soltanto, la stessa cosa. I fuochi d'artificio, l'inno, bandiere e sciarpe, terze stelle e tricolore. Lacrime e sorrisi, gioia e rivincita, amore infinito per questa squadra che non abbiamo mai abbandonato in questi anni terribili e che oggi ha ripagato il nostro amore nella maniera più bella. A un certo punto si decide: la notte finirà a Caselle, andiamo ad accogliere i nostri eroi che tornano da Trieste. Un'ora ad aspettare che l'aereo atterri, ancora canti nonostante la stanchezza che ormai avanza inesorabile e risate quando vedi quello che ha divelto il segnale del limite dei 30 orari e lo agita al cielo come fosse uno striscione solo perché contiene quel numero magico. In una serata del genere può anche capitare, mentre te ne torni verso le macchine che è quasi l'alba, facendoti largo tra il sonno e la stanchezza, di litigare con un caro amico per ragioni veramente futili. Ma dura il tempo di una stretta di mano e di un abbraccio. Nulla può cancellare la felicità della nostra serata più bella. Siamo tornati.