Andrea Pirlo - Non è un artista

RubricaCampionario - Carico e scarico di calciatori che malgrado tutto non dimenticheremo mai

Nella mia precedente rubrica scrivevo sempre di Andrea Pirlo. Per qualche tempo ho provato a pensare ad altro, ma credo di non riuscire a smettere. Ne avrò da dire, fintantoché non troverò una soluzione all'enigma.

Pirlo è incomprensibile, come il ventuno che lo ha preceduto in maglia bianconera. Due uomini unici nel mondo del calcio. Ombrosi, introversi, poco propensi al sorriso, dentro e fuori dal rettangolo. In campo mostrano grazia assoluta e la suggestione di un universo interiore complesso, al microfono si distinguono per timidezza e ritrosia. E' capitato che, nell'estetica di un cazzotto o di una testata, qualcosa di Zidane emergesse come spiegabile dalla sua biografia, con il solito esercizio di psicologia spicciola. Con Pirlo, invece, non succede in pratica mai. Uomini così, dentro al rettangolo, io non ne ho mai visti. Mi sono trovato a compulsare forsennatamente le wikibiografie di oscuri campioni dell'area danubiana vissuti nel periodo tra le due guerre, possibilmente con un finale tragico; a cercare altri esemplari di questa specie, come uno scienziato pazzo che ha in mente uno strano progetto per realizzare campioni indimenticabili in vitro. Posso dirlo con cognizione di causa, non ce ne sono altri: esistono solo i due ventuno (del resto, faccio il bamba, il numero è profetico: 2 1, due numeri uno).

Mettiamo da parte le enormi differenze di provenienza sociale, conformazione fisica, posizione in campo. La discendenza diretta tra i ventuno deriva da tutt'altro. Le due carriere hanno similitudini: definitivamente sbocciati intorno ai 23 anni dopo qualche promessa non mantenuta; campioni del mondo intorno ai 27 anni, dismessa l'accusa di essere più belli che efficaci; sublimi negli anni della maturità, nonostante qualche prematuro necrologio. Zizou è venuto grande da noi e poi ci ha abbandonato: un tradimento perdonabile solo con il dubbio di essere indegni di lui. Nondimeno, una sofferenza infernale. Per Andrea Pirlo, il percorso è stato contrario, ma lo stesso fonte di patimento. Per colpa sua, ho sviluppato la sindrome di Rebecca, ovvero la gelosia retroattiva. Non posso pensare, mi fa uscire pazzo, che altri, immeritevoli per mille e ancora mille ragioni, abbiano goduto di lui, prima di me. Non riesco a guardarlo con quella vecchia maglietta: quando capita uno di quei momenti amarcord in tv, mi catapulto a cambiare canale. Mi trovo a credere si sia fatto crescere la barba per noi, proprio per questo motivo: sembrare un altro.

C'è di più, rispetto a queste convergenze: una leadership magnetica, esercitata da due uomini che, a una lettura superficiale, non sembrerebbero caratterialmente uomini di comando. La loro leadership non è semplicemente tecnica, ma appare a tutti gli effetti morale. Del resto, tutti ricordiamo i sacrifici in copertura di Zidane. Pirlo è spesso incompreso in questo senso: possiede in realtà ottime capacità difensive dal punto di vista tattico, sapendosi sempre posizionare dove è necessario. In più, non si nasconde mai, non cerca di evitare le brutte figure: se c'è da arrancare dietro a un ventenne col fisico da quattrocentista, lui lo fa. Entrambi, azzarderei infine, sono leader trasformativi, ovvero capaci di deviare il normale corso della storia del calcio, che ai loro esordi voleva rispettivamente centrocampisti muscolari e trequartisti piccoli e svelti.

Non è questo però ancora il punto (che è davvero sfuggente, se posso farmi perdonare). Il punto è che io, nei ventuno, e solo in loro, ci vedo altro. Non mi accontento del loro elegante calcio, ma voglio trovarci una spiegazione. Più ci provo, e più invece mi accorgo che non c'è nessuna teoria che possa spiegarlo ovvero che tutte le teorie vengono buone. In Pirlo e in Zidane riconosco la profonda frattura tra il calcio moderno e la retorica ottocentesca che lo racconta, con tipi umani invariabili: l'artista genio/sregolatezza, da Best a Maradona a Cassano (segno dei tempi?), l'indomito lavoratore che supera i suoi limiti grazie al sacrificio (da Gentile a Gattuso sono di norma italiani, nessun segno dei tempi), il bravo ragazzo che ama la maglia e ha il valore della famiglia (ringraziamo Ryan Giggs in eterno, per aver svilito quest'identità), il mercenario con gli occhi a forma di dollaro a volte trasformato in simpatico giramondo zaino in spalla, il cattivo che stronca carriere e picchia la moglie (Vinnie Jones ne ha fatto parodia con dignità artistica). Ecco: no. Pirlo e Zidane non si possono raccontare così: per questo ti chiedi chi sono, in realtà.

Non posso fare a meno di pensare, insomma, a chi sia davvero Andrea Pirlo, fuori dal campo, seppur nella dogmatica convinzione che ciò che accade fuori dal campo conti meno di zero, che non abbia senso alcuno svelare il mistero buffo per cui un cassano che ha appena avuto l'intelligenza sovrumana di calibrare un passaggio al millimetro per un compagno che ha visto solo lui, colpendo la palla esattamente con la potenza e l'angolo giusto, possa poi a malapena riuscire a coniugare un verbo.
Per colpa di Andrea Pirlo, ho ricominciato a seguire le interviste post-partita, la messa domenicale di risposte banali a domande stupide. Ho scoperto che Pirlo effettivamente risponde, come tutti gli altri, con cose banali a domande stupide, ma ha tutta l'aria di essere ben conscio che quello che sta dicendo è un'ovvietà, per cui non andrebbe speso del tempo. Sembra addirittura che lui pensi, con alterigia, che tutto quello che si può esprimere con parole sia banale. Come se la parola, per l'appunto, sia un mezzo impreciso e inadeguato per spiegare le cose. Per lo meno, per chi sa fare le cose che sa fare lui in campo: spiegare tutto in un altro modo, come fanno gli artisti. Pirlo sembra sfottere, con la voce da sette del mattino e quell'espressione con cui sembra sempre stia trattenendo un sorriso di biasimo, che ogni tanto affiora. Molto spesso, fateci caso, nel bel mezzo di un'intervista, butta uno sguardo altrove, come se proprio là (inteso: nel mondo) stesse succedendo qualcosa di più importante. Qualcosa a cui lui è invitato a far parte, e noi no. Forse perché non c'è veramente niente da dire, dopo una partita: è come chiedere a uno scrittore di spiegare un romanzo.

In Pirlo, c'è un mistero umano davvero potente. Ho cercato di capire chi sia, leggendo e ascoltando quello che dicono di lui. Il suo ex compagno Costacurta giura che Pirlo sia la persona più divertente che abbia mai frequentato lo spogliatoio di Milanello, dotato di un umorismo pungente e irriverente. Più o meno lo stesso sostiene il suo ex compagno Gattuso, con cui formava una ben strana coppia di fatto nel miglior centrocampo che i tifosi milanisti ricordino. Antonio Conte sostiene che abbia qualità umane straordinarie. Anche Gigi Buffon insiste spesso su questo fatto: l'uomo è speciale.

Davvero quell'individuo schivo e riservato è in realtà un fine umorista e una carismatica guida? Se fosse così, quest'uomo è davvero troppo bravo a mantenere riserbo circa la sua reale natura. Gli riesce quasi meglio che nascondere la palla dai tackles avversari. Io mi convinco allora che Pirlo ci stia giocando uno scherzo, che sia un umorista veramente obliquo, che stia facendo performance art. Perché ha scelto il ventuno, ad esempio? Non può averlo fatto per caso. Per carità, ho scoperto anche che Andrea Pirlo sa mostrarsi normalissimo: ho visto il suo volto impassibile piangere, a lungo abbracciato con Seedorf, il suo ultimo giorno a Milanello. Artista in campo, fuori è invece un imprenditore di successo, dagli affari diversificati, dal vino alla siderurgia. C'è insomma una frattura evidente tra quello che si vede e quello che è, qualsiasi cosa sia. Così come avveniva per Zidane.

Per questo, la rappresentazione di questi campioni come semplici calciatori è semplicemente inaccettabile. Infatti, io questi due incredibili personaggi me li immagino in un altro modo. Quando penso a Zinédine, mi viene in mente immediatamente la sua scultura. Quando penso a Pirlo, me lo immagino dipinto. Mi rendo conto insomma che sono due opere d'arte vere e proprie. Non artisti, sarebbe poco, ma arte. Concreta rappresentazione di un'idea inafferrabile che ha a che vedere con la nostra natura di calciatori (in questa rubrica sta per: uomini).
Per questo mi sento di proporre una categorizzazione dei calciatori, di poco differente da quella in uso. Ci sono i ventuno e tutti gli altri sono under ventuno.

Puntate precedenti:
1 - Mirko Vucinic, simbolo di pace
2 - Paul Pogba e il romanzo di formazione
3 - Simone Padoin, il giocatore di fatica nell'epoca della sua riproducibilità tecnica
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