ORRORI DI STAMPA - Fenomenologia del social journalist: intorno alla discriminazione

Tiene banco la questione degli stadi chiusi, o meglio solo quello del Milan, per "discriminazione territoriale". E al di là di quello che si legge sulle pagine dei quotidiani anche i nostri social journalists, come ognuno di noi, hanno la loro opinione in merito. Come tutti i grandi dilemmi che attanagliano la mente dei più raffinati filosofi sin dall'inizio dell’umanità, anche in questo caso ci troviamo di fronte a diverse scuole di pensiero.

La prima è quella più intransigente, la linea dura della lotta senza quartiere al tifo becero da stadio, quella che "all'estero tifano solo a favore della propria squadra e non insultano gli altri". A rappresentare questa scuola di pensiero che, bisogna darne atto, quantomeno presenta una certa coerenza, c’è il buon Zazzaroni. Il quale con l'abituale notevole capacità di sintesi riassume così il suo pensiero alla notizia dell'alleanza trasversale tra le tifoserie ultras di tutte le squadre: "La Nord dell'#Inter solidarizza con la curva Milan e invita gli ultrà a far chiudere gli stadi. In Italia si lotta per la libertà di offesa". Chapeau, sul serio.  Ma non è tutto qui perché, osserva il Zazza, si fa presto a fare i fenomeni a casa propria. Ma poi vediamo se questi cuor di leone hanno il coraggio di insultare i napoletani quando rischiano di pagare gli stessi insulti sulla propria pelle: "Chi protesta contro il razzismo territoriale vada al S. Paolo a urlare 'napoletani colerosi' e 'Vesuvio lavali col fuoco'. Liberi ovunque?'. E già, comodo fare i fenomeni dai seggiolini di San Siro, circondato dai tuoi compari. La conclusione purtroppo, è amara: "Ma fate come vi pare. Sfottetevi insultatevi sfogatevi. Tanto c'è sempre chi fa peggio di voi, giusto? Il calcio è di chi lo ama? Ma vaff..." Triste constatazione della realtà, finchè si giustificherà qualsiasi becerume saremo sempre qui a girare intorno alle stesse questioni.

La seconda scuola di pensiero è quella che potremmo definire ultra-liberale (o ultrà-liberale, se vogliamo giocare con le parole), quella che "sì ma poi ve lo immaginate che tristi le partite senza i cori e le coreografie", come se cori e coreografie valessero il prezzo di insulti, offese, se non addirittura di risse ed accoltellati. E quale miglior interprete per questa scuola di pensiero poteva esserci, se non colui che qualche settimana fa aveva etichettato come #festadelcalcio il derby romano, con la sua immancabile coda di violenza tra tifoserie (fulcro degli scontri, quest'anno, Ponte Milvio)? Ladies and gentlemen, Marco Mazzocchi: "Demagogia. Ipocrisia. Buonismo. Perbenismo. Caccia a nuovi followers. Non ci sto. La discriminazione territoriale è fumo negli occhi. Vostri" . Che lui invece ha capito tutto, e la sa lunga, mica come noi, che ci perdiamo in queste questioni di lana caprina. Che poi la caccia a nuovi followers cosa c'entrerà mai con la discriminazione territoriale? Mah, considerazioni di una mente superiore, io non provo neanche a issarmi a cotanto acume. Ma lo so che voi adesso siete curiosi come me di sapere quali grandi verità si celano dietro il "fumo nei nostri occhi". Mazzocchi è diretto, nella sua illuminante rivelazione. Lui sa cosa c'è dietro a tutto questo polverone: "La 'discriminazione culturale' mi infastidisce xché così chi guida il nostro calcio ci distrae dai problemi veri (stadi e prezzi in primis)" . Ecco, forse sarebbe stato meglio lasciarci nell'oscurità e nel dubbio. A parte che non vedo come la questione stadi possa essere slegata dalle sanzioni che vengono comminate agli stadi stessi, ma poi... i prezzi?

Un altro che non ci sta è Fabio Ravezzani: "Squalificare S Siro per 4 cori sentiti da pochi dimostra la follia di una legge che contribuisce solo a uccidere il calcio" . Ma sì, alla fine che vuoi che sia se i cori li sentono in pochi. Facciamo così, mandiamo i tifosi allo stadio muniti di cuffiette, walkman o più moderni lettori mp3, così che possano godersi la partita ascoltando musica a tutto volume, cantando o urlando quello che si vuole, senza più dover temere per alcun tentativo di omicidio per il calcio nostrano.

L'ultima, e forse la più interessante scuola di pensiero, infine, è quella dei cosiddetti "cerchiobottisti". Di quelli che "bisogna usare il pugno duro" ma che, quando le regole vengono incredibilmente applicate, diventa tutto colpa di chi quelle regole le fa, non di chi si guadagna la sanzione. Anche stavolta di esempi ne abbiamo due; il primo è il giornalista di Sky Sport 24, Sandro Sabatini: "L'ho detto e lo ripeto: io sono assolutamente contro qualsiasi forma di discriminazione e razzismo. Ma anche contro la chiusura degli stadi" . L'ha detto e lo ripete, sia chiaro, che nessuno si azzardi a mettere in dubbio la sua coerenza nel sostenere entrambe le opposte posizioni contemporaneamente. D'altro canto come dargli torto? La discriminazione e il razzismo sono cose indiscutibilmente estranee alla civiltà e all'intelligenza, ma anche le partite a porte a porte chiuse sono brutte brutte da vedere, eh. Perché stare a perdere tempo con questi odiosi provvedimenti che ci rovinano il nostro trastullo domenicale e, come si comincia a scrivere un po' ovunque, falsano il campionato, quando possiamo starcene tranquillamente seduti a gustarci la partita con la sua bellissima atmosfera (che vuoi mettere, i cori e gli striscioni!?) aspettando che le cose si risolvano da sole, come per magia?

Chi invece entra di diritto nella scuola di pensiero dei cerchiobottisti non per la sua coerenza nel suonare entrambe le campane, ma per aver corretto e riveduto il proprio pensiero, chissà, dopo attente e meditate riflessioni, è Franco Arturi. Il 24 settembre esaltava nientemeno che l'allenatore della Juve, Antonio Conte, così: "Conte straordinario e deciso anche sulle curve chiuse: 'Va usato il pugno duro"' Bravo, bravo, bravo" 92 minuti di applausi (cit.). D'altra parte il suo pensiero è sempre stato abbastanza chiaro: "Il calcio italiano ha bisogno soprattutto di regole, in campo e in tribuna. E di applicarle implacabilmente e sempre". Duro e puro che più duro e puro non si può. Linea chiara, precisamente delineata e tenacemente perseguita, almeno fino a qualche giorno fa. Oserei dire finché le sanzioni toccavano a "qualcun altro"...  Già il 7 ottobre, infatti, cotanto vigore sembra essersi un po' diluito, come vino annacquato: "Milan, una giornata a porte chiuse per i cori dei suoi tifosi a Torino. I club pagano decenni di assenza sui temi del clima negli stadi" . Ecco, non più "bravo, bravo, bravo". Come per magia la colpa è di chi le sanzioni ora le applica. Perché per decenni non si è fatto niente. Quindi giustamente, adesso che si inizia ad applicare "implacabilmente e sempre"  regole che finalmente ci sono, non va bene. Si poteva magari chiudere un occhio, visto che lo si è fatto per tanto tempo. D'altro canto anche gli ultras leggono la Gazzetta...


Ps: Sarebbe finita qua, e per quanto riguarda la questione "discriminazione territoriale" lo è. Ma Twitter, purtroppo o per fortuna, ci regala anche molte altre meraviglie. Il social journalist infatti "è un uomo a tutto tondo" per citare una canzone di Giorgio Gaber. E non vive di solo calcio. Non intendo occuparmi delle opinioni del tutto legittime e personali dei giornalisti sportivi su faccende che con lo sport non hanno nulla a che fare, non sarebbe corretto. Però. Però a volte capita che si trascenda, che si sconfini in questioni troppo grandi, che per voler dire la propria a tutti i costi in 140 caratteri si finisca per scrivere cose così, come ha fatto Mazzocchi: "Mi piace pensare che #Priebke chieda perdono ai Martiri delle Fosse Ardeatine, e che loro gli rispondano: 'Ti abbiamo già perdonato..."" Un bel tacer non fu mai scritto, come si suol dire. Specialmente in un tweet.

@SimoDiDio