Torino, provincia di Juventus - Avversari, non nemici

In un piovoso sabato di inizio marzo, con l'amico Marco Sanfelici decidiamo di andare a Grugliasco, a vivere un pomeriggio per noi anomalo. A Villa Claretta, a visitare la sezione del "Museo del grande Torino e della leggenda granata" dedicata da alcune settimane (e fino al 20 aprile) alla mostra intitolata "Settanta angeli in un unico Cielo - Heysel e Superga tragedie sorelle". Con noi, un mio caro amico d'infanzia, di fede granata.
L'idea, semplice ma estremamente complessa nella sua realizzazione, è quella di superare le idiozie di parte (inutile dar loro ulteriore spazio ricordandole), almeno di fronte al dolore per la morte. Difficile da far accettare, certo. A maggior ragione in un clima come quello attuale. E infatti, non sono mancate le incomprensioni, le disapprovazioni, i distinguo, il dissenso verso questa iniziativa, promossa dai responsabili del Museo del grande Torino e dall'amico Mimmo Laudadio, curatore del museo virtuale www.saladellamemoriaheysel.it
 
Due tragedie diverse per le modalità con cui sono avvenute, certo. Da una parte una disgrazia, una tragica fatalità e dall'altra una strage, un folle omicidio. Due tragedie diverse per la notorietà delle vittime, certo. Da una parte un'intera squadra di grandi campioni, oltre ad alcuni giornalisti e accompagnatori, e dall'altra un gruppo di tifosi che pensava di assistere ad una partita di calcio. A dividere i due terribili eventi ci sono 36 anni: a Superga il 4 maggio 1949 perirono 31 persone, a Bruxelles il 29 maggio 1985 le vittime furono 39. Tutto vero. Ma a dividere le due tragedie, in maniera insensata e immotivata, ci sono soprattutto le contrapposizioni becere e tanto inutile odio. Ad ognuna delle 70 persone che persero la vita in quelle tragiche circostanze è dovuto lo stesso rispetto.
Tragedie diverse? No, tragedie sorelle, come dicono gli organizzatori della mostra. Le più grosse tragedie sportive della città di Torino, che coinvolgono entrambe le squadre di Torino. E che dovrebbero unire le tifoserie, non dividerle. Ed è di questo che ci ritroviamo a parlare con il volontario che, rigorosamente in felpa granata, ci accompagna all'interno della mostra. Le sconvolgenti immagini della carneficina dell'Heysel (messe a disposizione da Salvatore Giglio, fotografo storico della Juventus) sembrano mescolarsi, anche se i pannelli sono solo vicini, con i ritagli di giornale e le fotografie di Superga e dei campioni periti in quel disastro. A meno di una settimana dal derby, con le sue polemiche e i suoi veleni, riusciamo a parlarne come si parla tra persone normali, che non consentono all'opposta fede sportiva di prevalere sul rispetto dei valori umani.
 
Per motivi legati all'età, non ho ricordi diretti riferibili alla tragedia di Superga. Li ho invece di quella maledetta sera dell'Heysel. No, non ero là. Ma c'erano tanti miei amici. Tornarono tutti a casa, qualcuno malconcio, quasi tutti segnati da ciò che avevano visto. Da allora io stesso, per almeno 10-12 anni, non riuscii più ad andare allo stadio.
Non ho però mai compreso la necessità di rispondere alla follia omicida con l'odio incondizionato e generalizzato. Non credo sia un modo sensato (ammesso che ne esista uno) per onorare la memoria delle vittime di quella sera. Ho sempre disapprovato i comportamenti di quelli che "odio Liverpool", "English animals" e similari. Non riesco a comprendere cosa c'entri il non dimenticare con il manifestare il proprio odio, come se si trattasse una specie di guerra santa.
Al netto delle ipocrisie, dei pregiudizi e dei preconcetti, credo che non si possa odiare, per la follia omicida di qualche centinaio di delinquenti, un'intera città o un intero popolo, o addirittura un'intera nazione. La ferita dell'Heysel è aperta, certo. Ma non è con il "machismo" e l'ostentazione della necessità di odiare e di contrapporsi che la si chiude o la si risolve. E non è solo un problema culturale. Finché non si superano certe logiche, avremo sempre i cori, le magliette, gli slogan infamanti e le scritte col "meno 39". E continueremo sempre a darla vinta all'idiozia di chi straparla di esultanze, di partite da rigiocare, di coppe insanguinate. Quella tragedia è stata troppo spesso e da troppe persone (e per troppo tempo) colpevolmente dimenticata, o addirittura nascosta. Perché è vista come una tragedia di parte, una tragedia juventina, e non una tragedia dello sport, una tragedia di tutti... come se perfino i morti avessero un colore o una fede sportiva.
 
A maggior ragione, all'interno della mostra di Grugliasco, sarebbe anacronistico pensare ai "nostri" morti da contrapporre a quelli degli "altri". Non ci sono tragedie nostre e tragedie altrui. Non ci sono differenze. Chi avesse voglia non dico di trovarne ma anche solo di cercarne dimostrerebbe di non aver capito nulla di quelle immagini, e non farebbe altro che avallare i comportamenti di chi dileggia e infama da decenni quelli che ritiene essere i morti degli altri.
Restiamo avversari, certo, ma essere anche nemici non ci migliorerà. Continuiamo pure con gli sfottò, ci mancherebbe: il derby ci sarà sempre, dentro e fuori dal campo. Noi ladri e voi sfigati. Siamo tifosi, bianconeri e granata, ma gli uni come gli altri innamorati della propria squadra e dei propri colori. Siamo diversi, forse... e rimarremo tali. Senza bisogno però di perdere il rispetto per tutti, vivi e morti... e per se stessi.
Le faide lasciamole a chi si nutre di odio.
 
 
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