Torino, provincia di Juventus - Quel famoso Juve-Roma

La calata dei lanzichenecchi al contrario! Ci può anche stare, dopo ripetuti ed innumerevoli "sacchi" commessi nella storia ai danni della città di Roma, una volta tanto sono i romani ad invadere un’altra città! La scelta cade su Torino, da capitale ad ex-capitale. Per un fatto politico? Etnico? Espansionistico? Eh là, non facciamola così grossa: solo per un fatto di primato nel campionato di calcio italiano. Come, solo? Non vi sembra poco contendere alla "Magna" Juventus un titolo di cui non si sa nemmeno come è fatto il simbolo, ancorché stampato in cartolina? Non vi sembra poco rimettere fuori la testa dopo 40 anni di briciole (perché tali sono le coppe Italia ed una Coppa delle Fiere di cui si è persa memoria)? E l’orda giallorossa si mette in cammino nella notte, con l’idea che a fine maggio si è praticamente in estate e quindi "che ce vestìmo a ffà?".
Rispetto a Roma, Torino è in un altro mondo e complice il solito colonnello Bernacca che aveva previsto "forse sole, forse nuvoloso e non escludo che piova", nessuno avverte l’esercito dei romanisti che maggio dalle nostre parti è il mese dei… monsoni. Una pioggia fitta ed insistente tambureggia per tutto il giorno sulle povere teste in trasferta, ma non le piega, se è vero che la curva Maratona strabocca di colori giallorossi e di "strati" di romanisti, come forse nemmeno nel derby torinese è dato a vedere, quando entra in scena il granata (mutatis mutandis!).
In settimana mi metto in movimento alla ricerca di biglietti di curva, ovviamente Filadelfia, ma la probabilità di trovarne uno sfiora lo zero; figurarsi trovarne due! Eh già, perché da tempo ho una tifosa come me al mio fianco e per dovere di cavalleria devo procurare il biglietto anche a lei. Non ho altra scelta che ripiegare sui Distinti, spendendo di più e rinunciando al tifo da curva, quello che "senza, che partita è?". Ce la faccio, ho i due tagliandi in mano; passo a prendere la tifosa, e via verso il Comunale, dove Giove Pluvio dispensa la sua acqua generosamente, senza fare distinzione, da vero super partes.
Che sofferenza! Per la tensione in campo? Per la posta in palio? Macché. Per un problema al tram, dobbiamo scendere, aspettare che lo deviino e prendere il successivo. Ci sistemiamo sul primo gradino libero, che i giocatori stanno entrando e non ci resta che vedere la partita, come i carcerati guardano il sole: a scacchi, sotto il livello della rete di recinzione: sugli spalti non si sale! Che sofferenza! Il Comunale non ha la copertura e la pioggia ti penetra dappertutto, scende lungo il cappuccio dell’impermeabile trasparente ed i piedi "fan cic-ciac", come cantava Macario. D’altra parte Macario se lo poteva permettere: era torinese! Chissà quanta acqua avrà preso in vita sua! Che sofferenza! Perché la partita è brutta, noiosa, spigolosa, senza spettacolo, come spesso capita agli incontri decisivi. La Juve è stranamente nervosa, la Roma gioca un tantino meglio e Falcao dà qualche dimostrazione di che cosa voglia dire essere brasiliano nel calcio.
Poi, improvvisamente i botti: Furino (in versione Furia) si fa espellere per un fallo tanto violento quanto inutile a metà campo, la Roma prende il sopravvento in superiorità numerica e, dopo che Fanna si divora un’occasione da "campionato finito, appuntamento al prossimo anno", il fattaccio è servito!
Ritorno per un attimo al posto infame in cui siamo costretti a seguire il match. Appollaiato al terzo gradino dal parterre, in linea con la riga che delinea l’area di rigore dalla parte della Filadelfia, assisto all'azione del colpo di testa di Pruzzo, all'alzata della bandierina da parte del guardalinee (non se ne può più di chiamarli assistenti), al colpo di testa di Turone (un boato della Maratona giallorossa da somma delle bombe sganciate su Monaco di Baviera nell'ultima guerra), all'immobilità di Zoff che, avendo sentito il fischio di Bergamo (accorso con impeto per imporre la sua decisione ai contendenti), nemmeno accenna alla parata, all'esultanza di Turone, che corre a braccia levate verso il guardalinee che resta immobile, un braccio su e l’altro giù. Turone che abbassa le sue e non protesta, così come tutti i suoi compagni. La ripresa del gioco con una punizione per fuorigioco, battuta dal grande Dino nazionale. Poco dopo, il triplice fischio per una partita rognosa e per nulla bella.
Ciò che dalla sera stessa ha inizio è il chiaro esempio di che cosa avesse in mente Papa Giovanni Paolo II, quando in romanesco esclamò: "Dàmose da fa'!”. Da alcuni giornalisti della Capitale, perfetti sconosciuti che fecero carriera sul go' de Turone, come Biscardi, Giubilo, Melidoni, ai moviolisti di mamma Rai, improvvisamente divenuti aruspici del XX secolo.
Poiché anche gli aruspici hanno una coscienza, poco tempo fa Carlo Sassi, gran priore del convento, ha confessato che la moviola del tempo era taroccata, e che il gol di Turone era davvero in fuorigioco. Come è parso a me, che ero in linea con l’azione (per via di un tram con l’accumulatore ciucco). Ma, né io in tutti questi anni sono riuscito a finire il racconto con chiunque, prima di essere fermato da un "tanto sappiamo che la Juve ruba…", né milioni di sportivi sono oggi pronti a resettare la convinzione installata nelle loro teste da informatori di parte, con sede a… Roma.
Altre sfide al calor bianco tra Juventus e Roma si sono ovviamente succedute; ma quella resta la madre di tutte le sfide, anche se la squadra capitolina avrebbe vinto lo scudetto due anni dopo e meritatamente, salvo poi sgonfiarsi a poco a poco dopo una finale "servita" all’Olimpico e persa ai rigori. Così tra un Falcao che "fece il gran rifiuto" ed una "questione di centimetri", la più bella Roma di sempre ritornava nei ranghi, in attesa di Capello e Totti, mentre la Juventus si avviava a godersi Le Roi Michel, prima di sprofondare in una notte durata 9 anni. Ma questa è storia di una prossima volta!
 
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