Tolleranza zero!

Il tema di quanto accaduto a Torino prima e durante il derby di domenica 26 aprile 2015 è assai delicato. Se sull'aggressione selvaggia al pullman della Juventus, viste le immagini, era impossibile avere dubbi, non altrettanto si poteva dire, fin da subito per gli accadimenti all'interno dello stadio.
Le autorità competenti hanno certamente a disposizione altri filmati, rispetto ai 3-4 circolanti sul web, perché (vedendo quelli) non solo non c'erano certezze, ma venivano legittimamente parecchi dubbi. Ora sembra addirittura che la bomba carta (prontamente declassata a petardo) non sia stata lanciata da nessuno, ma fosse già presente nel settore nel quale è esplosa.
Per spaccare dei seggiolini, oltre a cagionare i danni che abbiamo visto verso le persone, l'ordigno doveva essere piuttosto grosso, eppure non si vedeva arrivare nulla di significativo che giungesse da un punto esterno al settore colpito. Peraltro, in nessun video si vedevano persone che lancino la bomba carta o altro. E nemmeno persone che si voltassero in direzione del lancio o che si spostassero cercando scampo o che, successivamente all'arrivo dell'ordigno, si girassero incazzati verso i presunti lanciatori.
Inoltre, molte persone presenti allo stadio Olimpico hanno riportato che petardi, fumogeni, bottiglie, etc. siano stati lanciati da entrambe le parti. Ora, premesso che le controversie su chi abbia cominciato o chi abbia risposto sono assai poco appassionanti, rimane il fatto che una volta di più si dimostra come l'accertamento delle responsabilità sia fondamentale prima di emettere giudizi.
Eppure... "È ora di finirla!", "Linea dura. Leggi speciali", "Tolleranza zero! Mai più".
 
Sono solo alcune delle espressioni che vengono utilizzate dai media, dagli opinionisti, o dai politici, in riferimento ad un malcostume, o ad un qualche terribile avvenimento, lasciando intendere che, da quel momento in poi, non dovrà mai più accadere nulla del genere: non sarà permesso, né tollerato. Esprimono lo sdegno e l’indignazione nei quali sembriamo essere maestri... e dei quali siamo tempestivamente in grado di dimenticarci, non appena se ne sia spenta l’eco. Si sta verificando nuovamente, stavolta in riferimento a quanto accaduto allo stadio Olimpico di Torino, ma anche in altre meno cruente (ma ugualmente imbarazzanti) recentissime occasioni.
Andando più indietro, ancora ricordiamo quanto accaduto a febbraio 2007, con la morte dell’ispettore Raciti, o a maggio 2014 con la morte di Ciro Esposito, entrambi vittime di quella follia che spesso trova nel calcio (e nel mondo che lo circonda) il suo sfogo ideale, il palcoscenico più tragicamente visibile. Tornano alla mente le roboanti dichiarazioni immediatamente successive a quegli omicidi, simili a quelle che si rincorrono oggi, fortunatamente conseguenti a fatti meno tragici.
È ora di finirla! Linea dura! Leggi speciali! Tolleranza zero! Mai più…
Le dichiarazioni di intenti di 8 anni fa produssero l'installazione di qualche tornello, l'intensificazione dei controlli all'ingresso degli stadi (evidentemente non per tutti), la tessera del tifoso… e via. Si è ricominciato come nulla fosse accaduto, le coscienze sono state sopite, gli stadi son tornati ad essere in regola, the show must go on, fino ai fattacci degli anni successivi. Diventa quindi abbastanza facile ipotizzare quale seguito possa essere dato nel tempo alle dichiarazioni di questi giorni. Ma, alla base del fenomeno, c’è la solita famigerata “crisi dei valori”? Davvero, tutto è riconducibile all'imbarbarimento dei costumi, universalmente riconosciuto ed ascritto alla società attuale?
 
Qualche risposta può forse fornircela la storia, nella fattispecie (manco a dirlo) Tacito, nei suoi Annales, quando racconta di ciò che avvenne pochi anni prima dell’eruzione del Vesuvio, oltre 1900 anni fa. L'anfiteatro di Pompei, del quale ancora oggi rimangono parte della gradinata e della galleria superiore, poteva accogliere fino a 20.000 spettatori, ed era stato eretto in un'area periferica, per evitare l'intasamento del traffico cittadino (lungimiranti, vero?) in occasione degli spettacoli. Nell'arena si svolgevano le lotte dei gladiatori, alle quali la folla partecipava con grande eccitazione, spesso influendo sulla decisione dell’organizzatore nella concessione o meno della grazia agli sconfitti (eh sì, anche allora, gli arbitraggi prima e le sentenze poi... tenevano conto del sentimento popolare). Il fanatismo era tale, che spesso si verificavano tumulti tra i sostenitori di opposti combattenti.
La vicina Nuceria (Nocera) era ben più ricca e importante di Pompei: era diventata colonia romana (un privilegio per l’epoca) per volere di Nerone. Dovette essere un duro colpo per la vicina Pompei, la quale si ritrovò a perdere parte del suo territorio agricolo, in favore della nuova colonia. La circostanza probabilmente fu uno dei motivi scatenanti dei disordini avvenuti all’anfiteatro di Pompei nel 59 d.C., quando pompeiani e nucerini in trasferta diedero vita ad una sanguinosa rissa: l'affresco che immortala l'avvenimento è ancora visibile al Museo Nazionale di Napoli.
Il tifo degli spettatori scatenò un vero e proprio massacro fra i coloni di Nocera e quelli di Pompei, durante un combattimento di gladiatori organizzato da Livineio Regolo (già espulso dal Senato, vabbé). Si cominciò con scambi di ingiurie ed insolenze, poi volarono sassate, e si finì col giungere alle armi. I padroni di casa pompeiani ebbero la meglio: molti nucerini furono portati a casa mutilati nel corpo, altri addirittura morti.
La gravità dell’accaduto determinò l’intervento del principe, che rimise il giudizio al Senato, che la rinviò a sua volta ai consoli (a quell'epoca il decisionismo non era proprio di moda, e anche il ping pong di competenze e responsabilità non l’abbiamo certo inventato noi). Su nuova istanza, però, il Senato di Roma finalmente proibì ai pompeiani di tenere spettacoli pubblici (mai più, tolleranza zero: squalifica per dieci anni, con chiusura dell’arena di Pompei), mentre gli autori della sedizione furono puniti con l'esilio. Il divieto (more solito) durò poco: fu abbassato a due anni, alcuni dicono per l’intervento di Poppea (che doveva evidentemente aver un certo ascendente), la quale possedeva una villa da quelle parti, nella costa tra Pompei ed Ercolano.
Altre fonti, probabilmente più attendibili, dicono che il provvedimento sia stato ritirato a seguito del terremoto che, nel 62 d.C., colpì gravemente la città: si ritenne che Pompei (che comunque un ceto peso politico lo manteneva ancora) avesse già pagato, e fosse stata punita a sufficienza. Dopo il terremoto, iniziarono i lavori di restauro e ricostruzione dell’anfiteatro, voluti dai consoli in carica, ma, come la storia ci riporta, dopo quel primo catastrofico sisma, altri ne seguirono nel periodo successivo, fino ad arrivare alla tragica eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
 
Si tranquillizzino, quindi, i protagonisti delle bravate domenicali: gli effetti di certe dichiarazioni e dei conseguenti provvedimenti (ammesso che ci siano) sono, da sempre, di breve durata. In poco tempo, tutto (o quasi) tornerà com'era. Ma, in fondo, anche gli autori di quelle dichiarazioni non hanno di che preoccuparsi: passata l’onda emotiva del momento, molta gente dimentica. Quasi tutti.