Cos'è che che non sta bene ad Andrea?

andrea"C’è stato anche un intervento del Presidente della Federazione Abete; sicuramente le parole del presidente Abete io le ho trovate decisamente inopportune: perché o il Presidente della Federazione commenta tutte le settimane tutte le dichiarazioni di tutti gli allenatori, oppure solo quelle del nostro sicuramente non mi sta bene". Queste le parole chiarissime (un po' meno in verità quelle del suo interlocutore, attorcigliatosi attorno ad una serie di 'ovviamente' e 'voglio dire') e sacrosante di Andrea Agnelli nei confronti di Abete. Naturalmente oggi in soccorso di Abete è intervenuto, da pag. 14 della Gazzetta, Ruggiero Palombo, che ha cercato di convincere Andrea che si era trattato solo di un equivoco, perché lui c'era e testimonia che Abete ha risposto ad una domanda ("come sa fare benissimo") di Emilio Mancuso (conduttore di 'La politica nel pallone'), che gli ha chiesto solo di Conte e non di Allegri, né di Ranieri, né di Luis Enrique, né di Mazzarri; difesa altrettanto peregrina quanto la terzietà sbandierata (a parole ad ogni piè sospinto, ma i fatti sembrerebbero raccontare altro) da Abete; che può prendere esempio proprio da Conte, che non bacchetta mai i giocatori in pubblico: è sufficiente un bel 'dei singoli non parlo', per non compromettere la gestione del gruppo.

Ma il 'ciò non mi sta bene' di Andrea va al di là della singola frase, non è voglia di polemizzare su una pagliuzza, come pare sottintendere il presidente federale quando afferma di non essere lui ad aver voglia di polemizzare; è voglia di eliminare la trave, cioè la disparità di trattamento. Ma è proprio da questo orecchio che Abete non ci vuol sentire.
Perché ciò che non sta bene ad Andrea va molto al di là delle parole di Abete del giorno prima.

Ad Andrea non sta bene la Grande Farsa del 2006, la sua gestione e la difesa ad oltranza che ne viene fatta tuttora, alzando le barricate su qualsiasi possibilità di correggere gli errori compiuti. Non a caso Andrea ha preso in mano le redini della Juve quando non è stato più possibile celare la verità; le prove della Farsa erano state nascoste sotto un mucchio di cenere, ma il vento della realtà ha riattizzato i carboni ardenti che stavano sotto e le fiamme sono risprigionate, accendendo il fuoco dello sdegno e dell'indignazione; e quando sono apparsi evidenti, persino in corso Galfer, i danni ingiustamente subìti dal club, non solo a livello sportivo ma anche, e forse soprattutto, a livello economico: più che l'amor potè il denaro, si potrebbe dire parafrasando Dante. Il club stesso non aveva fatto granché per prevenire quei danni: dopo aver tentato inizialmente di saltare il fossato con il ricorso al Tar, la dirigenza di allora aveva alfine deciso di non spiccare il balzo; poi abbiamo saputo, ce l'ha svelato Blatter, che dietro le quinte si era mossi altri personaggi, che già in passato alla Juve avevano portato ben poca fortuna. E in tutti coloro che sedettero in tribuna a rappresentare la Juve in quegli anni bui, di passione (per la Juve e per il calcio) ce n'era ben poca: basta confrontare certe immagini, con le facce ieratiche e inespressive di Blanc e John Elkann che assistevano senza alcuna partecipazione emotiva ai rovesci bianconeri e, di converso, la foga e il pathos con cui, ad esempio, Andrea, all'ennesimo, e speriamo ultimo, erroraccio di Krasic, manifestava tutta la sua contrarietà e il suo sconforto.

Ad Andrea non sta dunque bene che non vi sia stata e non vi sia parità di trattamento: che il suo esposto abbia aspettato per 14 mesi per poi sentirsi dire: 'Sì, avete ragione, le cose non sono andate come si disse, ma è acqua passata'.

Ad Andrea non sta bene che per la Figc gli scudetti della Juve siano 27 e quelli dell'Inter 18: quelli reali, i 29 della Juve, glieli ha esibiti e declamati la sera dell'inaugurazione del nuovo stadio; che il diciottesimo dell'Inter sia di cartone (con inquinamento dei successivi) glielo ha dimostrato col supporto di Palazzi; che la giustizia sportiva, al di là di tante belle parole sull'etica e la legalità, non sia nemmeno in grado di correggere se stessa, non lo può accettare.

Ad Andrea non sta bene che la Juve stia ancora pagando, sul piano gestionale, i danni economici procuratile da Farsopoli: e ha chiesto che il club, che risponde anche ad azionisti e tifosi, venga risarcito. Abbandonati i miagolii di Zaccone, ora Briamonte ruggisce: "L'obiettivo è fare danno a chi ci ha fatto danno. La Juventus ha saputo resistere a cosa ha subito e esisterà anche in futuro quando continuerà a perseguire i responsabili anche se nel frattempo avranno smesso di ricoprire le cariche attuali o quelle avute. La Juventus resterà, mentre a loro resteranno le cause". Sono, spicciolo più spicciolo meno, 444 milioni di euro e Andrea ammette: "Mi rendo conto che ci sia un po' di nervosismo, mi rendo conto che molte persone in questo momento tutelino i loro interessi". Vale per tutti gli avversari, in campo e fuori dal campo.

Ad Andrea non sta bene come il mondo dello sport gestisce le faccende che lo riguardano (la giustizia sportiva in primis, ma anche altro, a cominciare dai rapporti tra società e tesserati, distribuzione dei proventi dei diritti televisivi, gestione dei calendari...); perché Andrea, seppur ancora giovane, manifesta in sé i tratti distintivi del vero dirigente, come lo era il papà Umberto (anche se i paragoni vanno sempre presi con le pinze, solo per quel che possono dire: Andrea è Andrea, Umberto era Umberto, troppo diversi l'epoca e il contesto). E gli è ben chiaro che questo mondo ha bisogno di un cambio generazionale, non tanto e solo a livello anagrafica, ma di mentalità.

Ma perché ciò avvenga servirebbe un gesto che manifesti la presa di coscienza, da parte di chi condotto le cose a questo punto, quasi di non ritorno (perché i danni, reali mica inventati, chiesti dalla Juve sono una spada di Damocle non da poco sulla testa della Figc), che è necessario cedere il passo. Accadrà mai? Difficile dirlo, visto come certe figure rimangono abbarbicate alle poltrone. Ci vorrebbe una Calciopoli di vertice.