Il 2012 della Juventus, che più bifronte non si può...

ConteIl 2012, ma che anno è stato? L’anno della Juve, si può ben dirlo, l’anno in cui la Juve è tornata a fare la Juve. A fare, non ad esserlo, perché la sua essenza e il Dna non sono mai cambiati, ed è bastato che cambiassero i cocchieri perché la carrozza della vecchia signora riprendesse il viale della vittoria, l’unica cosa che conta: purché sia sul campo, ovviamente, e non a tavolino.
Cosa ricorderà di quest’anno il sentimento popolare? Che la Juve ha vinto il suo trentesimo scudetto: questo non si può ignorarlo, sta scritto sulla maglia bianconera: Ah, l’albo federale dice 28? Sì, ma loro sono incompetenti, l’hanno ammesso, l’ha confermato il Coni, non importa quello che dicono, è il campo a dire sempre la verità.
Come ha vinto lo scudetto? Con un campionato da imbattuta? E’ vero, poi però l'immaginario popolare racconterà che l’ha vinto col goal di Muntari: quella foto impressa sul cellulare di Galliani sarà il simbolo del campionato scorso, così come il contatto Iuliano-Ronaldo fotografa il campionato dei piagnoni 1997-'98 e er gò de Turone quello del 1980-'81.
Ha vinto anche la supercoppa italiana, ma per i posteri sembrerà che l’abbia vinta giocando da sola, perché i suoi sportivissimi contendenti partenopei nel video della premiazione non ci sono.

Chi l’ha guidata in questa cavalcata trionfale? Antonio Conte. Che tuttavia le grandi foto e i titoli a caratteri cubitali sui giornali li ha ottenuti per un’altra vicenda, agghiacciante: la sua squalifica per il coinvolgimento nel calcioscommesse. En passant si potrebbe far notare che lui non ha mai scommesso un centesimo, che la cosiddetta ‘giustizia sportiva’ lo ha condannato perché, disse, ‘non poteva non sapere’ che uno scommettitore vero, uno indagato per tale reato anche dalla giustizia ordinaria, aveva inquinato lo spogliatoio e venduto le partite. Ma i titoli impressi nella memoria collettiva rimarranno: “Conte a processo” “Fermate Conte per 15 mesi”, “Un ciclone su Conte”, “La retata”, “Conte niente sconti”. E si sussurrerà pure che anche Bonucci, uno dei pilastri della difesa bianconera, e Pepe, furono inquisiti: sono stati assolti, ma rimarrà un dettaglio. E si continuerà ad impicciarsi dei fatti privati di Buffon, con scandalismo gratuito ma ad effetto, si pretenderà di sapere cosa faceva coi suoi soldi, quasi dovesse renderne conto a qualcuno.
Si ricorderanno le parole di Sandulli che adombrava per il tecnico salentino una colpa ben più grave, si ricorderà il deferimento subito dallo stesso Conte per la sua conferenza stampa così spietatamente sincera; si dimenticherà quanto fango gratuito sia stato vergognosamente gettato sulla Juve da media e addetti ai lavori, dalle punzecchiature plurime di Allegri dello scorso campionato fino alle vergognose insinuazioni (rimaste impunite) di Moratti: “Nei primi dieci minuti di partita abbiamo visto la vera storia dei due club”. E “ho già vissuto queste situazioni e non vorrei ritrovarmi ancora dopo tanti anni nella stessa situazione di allora.. non posso certo star zitto; ma soprattutto lo faccio proprio istintivamente e con tanto dispiacere perché non mi piace rientrare in una situazione come quelle del passato… se c’è un disegno è gravissimo” e ancora "Se c’entrasse la Juventus sarebbe grave”.Ed ecco che dal 2012 sul campo si è scivolati verso l’altra faccia dell’annata, quella che ci riporta ai tempi di Farsopoli, a quel 2006 cui peraltro sono rimaste ostinatamente ferme le lancette degli orologi di Figc e Coni.

E così si perpetueranno nella memoria collettiva due 2012: il primo, autentico, è quello della realtà, di un mondo del calcio inteso come un meraviglioso sport che si gioca su un prato verde rincorrendo un pallone, un gioco, anzi, il gioco per eccellenza, quello più naturale, che attrae i bambini dalla prima volta che vengono in possesso di un oggetto vagamente sferico e che spesso li accompagna come una passione bruciante per tutta l’esistenza: su quel prato, in quello sport, la Juve ha disputato una stagione memorabile, vincendo uno scudetto da imbattuta, e anche una supercoppa italiana; ricominciando una stagione senza il suo tecnico, l’artefice del suo successo, in panchina (“E se poi qualcuno vuole provare a giocare oltre venti partite senza allenatore, si accomodi”, ha detto Andrea Agnelli); e, nonostante questo handicap, riuscendo a concludere l’anno come campione d’inverno e con in tasca il passaggio agli ottavi di Champions League come prima classificata del suo girone, dopo aver fatto fuori addirittura i campioni uscenti. Un anno da incorniciare.
Poi c’è l’anno mediatico e giudiziario: un anno avvolto dal fumo del pregiudizio, dell’odio antijuventino, lo stesso che fu alla base di Farsopoli. Quello dei titoloni su Conte ‘a processo’, quelli degli attacchi dietrologici. Un anno ‘di merda e cartone’. La Juve e i suoi tifosi però indossano da tempo elmo e corazza, rintuzzano gli attacchi anche a colpi di tweet; e adesso c’è un presidente che ribatte colpo su colpo; non vuole vincere solo una battaglia, vuole vincere la guerra: vuole cambiare il calcio, dalle fondamenta. Persone e regole. Ci proverà fino in fondo, Abete lo perdoni, perché Andrea competente è per davvero.
Tornare al successo sul campo era fondamentale, lo ha affermato lui stesso: “Se vinci, pesi. Se pesi, conti. Oggi abbiamo di nuovo una società forte e una squadra forte. Senza risultati, la parola potere è astratta. Nelle stanze che contano, però, la Juve è di nuovo un interlocutore”.
Non sarà operazione facile né rapida sfrattare i dinosauri dai loro palazzi, ma cambiare quel mondo stantìo è indispensabile per chiudere il cerchio e riportare alla luce anche i risultati del campo rimasti sepolti sotto le macerie di Farsopoli. Perché svolta davvero sia. Per il calcio tutto, non solo per meschini interessi di bottega o di poltrona.

 

Twitter: @carmenvanetti1