Riccardo Gambelli, uno ju29ro a Siena

HeyselAd alcuni il nome Riccardo Gambelli non farà nascere immediatamente le correlazioni tra lui e la nostra Juve, lui e il Direttore Moggi, lui e i tanti scritti rintracciabili nel web (ju29ro.com in particolare) o lui e le sue opere letterarie (tra l’altro in questi giorni è in libreria la sua ultima fatica "Il Lisiantus bianco”, tratto da una storia vera degli anni di piombo romani, partorito dopo tre anni di documentazioni accurate).
Basta però digitare su google “Gambelli Moggi intercettazioni” e abbinerete immediatamente un nome e un cognome a un fatto clamoroso di Calciopoli, di cui il buon Riccardo, bianconero DOC, è stato suo malgrado protagonista.
Capire quanto ami la Juve, quanto l’abbia seguita, cercata, sospirata è semplice. Lo si trova nel meraviglioso libro “Coriandoli bianconeri”, scritto come prima fatica da Riccardo.
Quel libro davvero denso di vita, amicizia e juventinità mi ha fatto commuovere, riflettere, gioire nuovamente delle gesta della mia Juve. E mi ha dato l’incipit per “cercare” questa nuova chiacchierata, che mi onoro d’iniziare.

Caro Riccardo, qual è la genesi di “Coriandoli bianconeri”, come e dove nasce quest’idea?
Prima di tutto vorrei ringraziarti di questa intervista, che, sinceramente, non mi sarei mai aspettato. Avevo intuito che ti era piaciuto il mio Coriandoli Bianconeri, ma, ripeto, mai mi sarei aspettato che tu volessi addirittura intervistarmi. Tu non ci crederai, ma pur essendo un guascone, ironico e, come dicono in giro, un campione della comunicazione, a me fa molto paura vedere il mio nome che gira sui siti o sui giornali. Preferisco la riservatezza, ed è per questo che moltissime persone che mi conoscono non sanno nemmeno che ho pubblicato tre libri, anzi 4 se contiamo anche la coproduzione de “I nostri campioni”, e che collaboro con www.ju29ro.com. Capita a volte che alcune emittenti toscane m’invitino a partecipare a trasmissioni sportive, ma, cortesemente, rifiuto. Posso, al limite, apprezzare le interviste scritte, come questa, o telefoniche, come quella che mi fece l’anno scorso Juve Channel, dove parlai della Fondazione Andrea Fortunato. Ad ogni modo, nel 2006 un nutrito gruppo di "saltimbanchi" ci aveva retrocesso e il fatto è coinciso con un periodo di depressione personale che stavo attraversando. Capita a tutti nella vita, prima o poi, di avere un cane che ti morde dentro, continuamente, e tu non riesci a placare la sua fame. Ecco che la notte, grazie alla mia insonnia, iniziai a scrivere tutto ciò che mi passava per la testa, ricordi, tormenti, avventure, dolore, sempre con la Juventus come cornice dei miei capitoli. Mi accorgevo che era terapeutico, un medicamento meraviglioso. 'Coriandoli Bianconeri' ha un doppio significato: il lato positivo e negativo della vita e l’amore per la Juve, che rappresenta per tutti noi una parte importante del nostro cammino, che ci segue dalla nostra infanzia. Avevo scritto questo libro per i miei amici e parenti, facendo stampare da una tipografia digitale circa 50 copie, che regalai durante una festa natalizia del 2006. Ad aprile 2007 mi telefonò una mia amica docente di lingua italiana dell’Università di Siena, che mi chiese l’autorizzazione di passare il libro ad un editore toscano, con il quale lei pubblicava i suoi testi. Insomma, nell’autunno 2007 il mio librò arrivò nelle librerie e sui siti di vendita on line, ed incredibilmente ha avuto un discreto successo. Possiamo trovare diverse recensioni di Coriandoli Bianconeri on line, ma quella che sento più vicina è quella del mio amico Nino Ori e che si può leggere su Ju29ro.com.

Juventino di Siena, cresciuto a Palio e Scudetti. Cosa accomuna questi due mondi apparentemente lontani?
Guarda, mi devi scusare, ma il Palio è una tradizione, una realtà, della quale noi senesi siamo talmente gelosi che preferisco non parlarne, anche perché, appunto, solo un senese può sentire vibrare le corde dell’emozione di fronte ad un rullio di tamburi. Comunque la Famiglia Gambelli è della Contrada della Torre.

Come Piazza del Campo, lo stadio della Juve per te è una chiesa. Ricordi la tua prima volta?
La prima volta che vidi la Juve allo stadio, dal vero, risale ad un Fiorentina-Juventus del 1973: vinsero i viola 2-1, Saltutti e Desolati per i gigliati, il mio Causio su rigore per la Vecchia Signora. Quella partita mi riporta con la mente al mio accompagnatore, un caro amico che morì pochi anni dopo, durante una partita di pallamano: un infarto gli distrusse il suo giovane cuore. Si chiamava Paolo, era di Prato ed era un tifoso viola doc. Fu lui che mi ospitò a casa sua e mi portò in Tribuna a vedere i miei idoli. Un’emozione che non potrò mai dimenticare. Noi ragazzini di allora, che abitavamo lontano da Torino, eravamo abituati a vedere le partite in tv, chiaramente in bianco e nero. Così la Juve ci appariva sugli schermi sempre grigio chiara e grigio scura. Ecco che quando vidi uscire i giocatori dalle scalette dello spogliatoio rimasi senza fiato: la Juve era veramente bianconera!!! Rimasi affascinato anche dal viola accecante delle maglie della Fiorentina. Non dimenticherò mai quel momento e nemmeno il mio grande amico: la sua morte è stato il primo grande dolore della mia vita. Non è comune conoscere la morte di un caro amico all’età di 13 anni. Ogni volta che incontro i suoi fratelli, al mare, nella mia Castiglione della Pescaia, torno con la memoria indietro nel tempo, quando lo vedevo arrivare in spiaggia, bello come un marine, pieno di vita e di sogni. Con la sua Viola nel cuore.

Lo stadio, luogo taumaturgico e magico. Per te ancor di più, visto l’effetto che ti fece la visione dell’Azteca a Città del Messico. Racconti cosa ti è successo a tal visione?
Miracoli che solo il calcio può compiere. Nel 1988 mi recai in Messico con due miei cari amici: era la prima volta che utilizzavo “l’Uccellone” (sto parlando chiaramente del 747 e non di altri tipi di uccello), per un volo transoceanico. Eravamo terrorizzati da quel lungo volo di 13 ore, ignari, invece, che avremmo rischiato la vita sulla statale a quattro corsie che collega Mexico City con le Piramidi del Sole. Il nostro autista vide bene di farci fare quattro carpiati con la sua scalcinata automobile nel bel mezzo della carreggiata. Mentre stavamo “volteggiando” tra le lamiere ero certo che non avrei rivisto la mia Italia. Sono quei pensieri fuggenti che durano un secondo ma che sembrano lunghi una vita. Uscimmo vivi ma conciati male. Ho ancora sulla mano destra i segni di quel terribile incidente. Ho conosciuto tutti gli ospedali e Pronto Soccorso del Messico e gli “stecchi dei sorbetti” che facevano da gesso alle mie povera dita. E non sto scherzando. Stadio Azteca. Un bel giorno eravamo all’interno di una Jeep mentre facevamo ritorno da Taxco, città del Messico coloniale. Ero partito al mattino che mi sentivo abbastanza bene, invece nel pomeriggio la febbre salì quasi a 40: stavo malissimo, tanto che i miei amici erano seriamente preoccupati. Ad un tratto la guida disse: “Quello è lo Stadio Azteca”. Mi alzai dai seggiolini come una molla, rimanendo abbagliato dalla visione. “L’Azteca, l’Azteca!!!”, gridavano i miei amici, anche loro con la sfera di cuoio nel cuore. Scendemmo dall’auto ed iniziammo a correre come matti, trovando un varco aperto, mentre un piccolo messicano ci gridava di fermarci. Non lo ascoltammo ed entrammo in quel tempio del Calcio. Ci sedemmo ed io iniziai a ripassare la storia mentre osservavo il terreno di gioco. Rividi Rivera che segnava il 4-3 alla Germania, rividi Pelé che sovrastava Burgnich, insaccando alla sinistra del panciuto Albertosi, ma soprattutto rividi lui, Diego Armando Maradona, che scartava come paletti cinque, sei giocatori dell’Inghilterra, compreso il portiere e segnava il più goal della Storia del Calcio. Diego può essere criticato umanamente ma calcisticamente è stato il più grande, ed io lo rividi, talmente bene che mi sembrava di toccarlo. Mi accorsi allora che non avevo più la febbre e stavo bene: miracoli che solo il Calcio ci può regalare.

Tanti viaggi. Per diletto, per amicizia, per amore, per passione. Tra questi ultimi quelli per seguire la Juve. Uno in particolare, all’Heysel. Eri nel settore Z. La verità di chi l’ha vissuta è ben diversa. Cosa successe veramente?
Eravamo partiti in tre, io e due miei cari amici, uno dei quali adesso è il responsabile della Pneumologia di Grosseto, utilizzando l’auto, mentre gli altri tifosi juventini senesi si erano serviti del nostro Club Juventus Siena Ghibellina ed il suo autobus. Ero stato un fondatore di quel Club, nel 1981, che in pochi anni aveva superato i mille soci. Arrivammo allo stadio tardi e quindi fummo obbligati a sistemarci vicinissimo alla rete di recinzione che ci divideva dagli hooligans, mentre gli amici del Club erano nettamente più vicini al famoso muro che poi sarebbe crollato. Eravamo tutti, chiaramente, nella curva Z, dove esisteva un unico cancello d’ingresso, da dove poteva passare un solo cristiano alla volta. Ci eravamo accorti che i tifosi inglesi superavano il loro cancello d’ingresso con numerose casse di birra. Ci chiedevamo come ciò fosse possibile. Arrivo al dunque: ad un tratto, mentre erano iniziati i cori inglesi, un oceano di cappellini rossi, alcuni tifosi juventini, giù in basso, saltarono la rete di recinzione rubando una bandiera inglese e portandola nel nostro settore. Incredibilmente la bruciarono. Io e i miei amici avremmo voluto scendere per farli ragionare sullo stupido gesto, ma proprio in quel momento quattro, cinque, inglesi avevano scavalcato la rete ed era iniziata una piccola rissa con gli autori del vile atto. Capii subito che sarebbe finita male, mentre i tifosi d’oltremanica avevano iniziato a sparare razzi ad alzo zero. Invitai subito i miei amici a tagliare la corda. All’inizio loro non sembravano d’accordo, cambiando idea quando si accorsero che gli hooligans stavano cercando di far crollare la rete. Ci avviammo al muro, l’unica via di fuga, in quanto era impossibile in quel momento uscire dal cancello d’ingresso perché invaso dalla fila di gente che stava entrando. Mi arrampicai tra i primi su quel muro, mi voltai e vidi che era iniziata la carica degli hooligans, mentre i miei due amici non ebbero la possibilità di salire su quel muro scalcinato perché era iniziata la compressione dei tifosi. Ebbi la possibilità con tutta calma di calarmi dal muro, cadendo all’interno dello stadio dove iniziava la pista di atletica, così feci da spettatore alla tragedia, mentre i miei amici riuscirono a salvarsi solo più tardi rimanendo imprigionati tra la carne umana impazzita. Adesso non voglio dire che i responsabili della tragedia sono stati quei quattro juventini imbecilli, però il loro gesto è stato di certo una provocazione ad una violenza che probabilmente sarebbe esplosa lo stesso, magari al primo goal della Juve. Il vero problema, a parte l’organizzazione dell’evento che oserei definire criminale, fu che in quella curva erano seduti solo tifosi con mogli e bambini al seguito, in cerca di un giorno storico di gioia e sport. Tifosi che non sapevano difendersi, con la parola “violenza” inesistente nei propri vocabolari. Ho letto libri, articoli, riviste di quella tragedia, ma nessuno ha mai ricordato quella bandiera inglese bruciata, però io e i miei amici siamo testimoni vivissimi e ricordiamo molto bene, purtroppo. Mi ha telefonato nei mesi scorsi una cara persona, Francesco Caremani, giornalista di Arezzo, che aveva letto il capitolo dedicato all’Heysel su 'Coriandoli Bianconeri', chiedendomi lumi sulla questione della bandiera bruciata. Francesco ha scritto un bellissimo libro, “Heysel”, e di quel fatto non era al corrente nemmeno lui. Ma, ripeto, tutto ciò non è una giustificazione a quel maledetto fiume di sangue che i miei occhi poterono vedere.

Qualcuno osa rinfacciare quella Coppa. Qualcuno disse e dice: “Non dovevate giocare, non dovevate accettare il trofeo”.
Solo chi non era presente in quello stadio, e soprattutto, in quella curva può parlare così. Non possono capire la tensione che stavamo vivendo, con gli inglesi pronti ad attaccare di nuovo e i tifosi juventini, assiepati nell’altra curva, in cerca di vendetta. Se non fosse iniziata la partita i morti sarebbero stati molti, molti di più. Ricordo bene i canti di vittoria degli inglesi, che intanto avevano invaso tutta la curva zeta, ricordo bene i bambini che piangevano sul campo di gioco in cerca dei genitori, ricordo bene tutte quelle sciarpe insanguinate, ricordo bene le lacrime di tutti, e ricorderò per sempre Pier Cesare Baretti, all’epoca Presidente della Fiorentina, che ebbe pena del sottoscritto e del mio amico Andrea, che ero riuscito a trovare solo dopo due ore (mentre Antonello lo ritrovammo all’alba del giorno seguente), conducendoci in Tribuna Numerata a telefonare ai nostri genitori. La partita fu giocata per motivi di ordine pubblico: questa è la verità.
Sul trofeo ho ragionato tanto in questi anni. Certamente la vittoria, il goal di Platini, fu la vendetta per tanti come noi carichi di odio, presenti in quel momento. Una vittoria nitida, meritata, anche se il rigore su Boniek era inesistente. Ho apprezzato e condiviso i festeggiamenti dei giocatori sul campo, effettuati per motivi di ordine pubblico, mentre stavano sfollando i tifosi italiani e non facevano uscire gli assassini inglesi, ma sul Trofeo portato a Torino qualche dubbio invade i miei sentimenti di grande innamorato della Juve. Ho visto gente morire e forse quel trofeo andava tirato in testa agli organizzatori e alle autorità del Belgio. In fin dei conti la nostra vittoria sarebbe rimasta registrata ugualmente negli almanacchi del calcio. Ma per chi ha visto la morte, come il sottoscritto, la prima vera Coppa dei Campioni l’abbiamo vinta nel 1996.

Occasione tragica per trovarsi sul prato verde, fuggendo dall’orrore. Ma in un’altra occasione, ben più guascona, fosti protagonista in quel del Comunale di un’irruzione al centro del campo e di un successivo salto al Pronto Soccorso...
Quel fatto è uno dei più incredibili nella mia storia di tifoso, e non solo. Ci recammo a Torino per la partita contro la Fiorentina. Era la primavera del 1984 e la partita la vinse la Juve con goal di Vignola su rigore allo scadere. Devo premettere che gli altri due attori senesi protagonisti di quell’avventura adesso sono due professionisti affermati nel tessuto senese, uno dei quali, Francesco, è un importante professore dell’Università di Siena. Questo per confermare, se mai ce ne fosse bisogno, che la gioventù e l’amore smisurato per una squadra può portare a gesti come quelli di quel giorno d’aprile. Eravamo, con gli altri del Club Juve Siena Ghibellina, in Curva Filadelfia ed avevamo appeso uno striscione che gridava “Juve, più Firenze ti odia più Siena ti ama”. Mentre attendevamo l’inizio della partita, circa un’ora prima, Leo disse: “Vado a saggiare le condizioni del campo”. Scavalcò i cancelli di recinzione e si fiondò in campo, salutandoci con la mano. Non credevamo ai nostri occhi. Francesco disse: “Vengo anch’io” e in un secondo scavalcò anche lui. Io, non volendo essere da meno, li seguii, ritrovandomi al centro del terreno di gioco. Fu allora che nacque la pazza idea di andare sotto la Maratona a salutare i tifosi viola che iniziarono a tirarci delle arance, che noi raccoglievamo, rispedendole al mittente. Ridevamo di gusto, e, devo dire, che anche i tifosi viola l’avevano presa con il sorriso. Mentre stavamo ritornando verso i nostri posti andai dentro la porta sotto la Filadelfia e piantai 100 lire dietro il palo di destra. In quell’angolino Vignola avrebbe insaccato il rigore decisivo. Ad un tratto, com’era prevedibile, i poliziotti e gli addetti al campo ci vennero incontro correndo, obbligandoci a saltare i cancelli di recinzione in gran velocità. Fu allora che mi ferii abbastanza seriamente alla mano destra, tanto che a fine partita mi dovetti recare al Pronto Soccorso all’interno dello stadio. Fu allora che vidi i giocatori a due passi da me, i miei idoli, che salutavo come fossero amici di vecchia data. Quando siamo giovani i giocatori ti sembrano dei e anche una loro stretta di mano può diventare indimenticabile. Poi, crescendo e maturando, tutto cambia, come la visione del calcio e dello sport in generale. Mi ricordo che al ritorno in autobus i miei amici erano invidiosi di me perché mi ero ritrovato a due passi da Tacconi e company. Io ero certo di una cosa: quel giorno ero tornato a casa con quattro punti in più, due per la Juve e due per la mia povera mano destra.

Dall’Heysel alle tribune di Roma. Con ben altre immagini nella mente. Quella partita segnò anche l’inizio di una grande amicizia, di cui non nego provo immensa invidia, quella col Maradona dei Direttori Luciano Moggi.
Era l’estate del 1996 quando mi telefonò un caro amico di Monticiano e mi chiese: “Vieni da me che andiamo a casa di Moggi?”. Presi la macchina e volai a Monticiano. Ma partiamo dall’inizio. Questa persona che mi telefonò la vorrei citare perché è una persona particolare e molto importante per il sottoscritto: il dott. Giovanni Burchianti, ex medico condotto di Monticiano e, dunque, medico della famiglia Moggi. Lo conoscevo da anni, grazie al mio lavoro, avendo stretto con lui un grande rapporto di amicizia. Una curiosità: Giovanni è il proprietario del famoso Mulino Bianco, che per anni è stato utilizzato dalla Barilla per la pubblicità. Il Mulino in questione si trova a pochi km da Monticiano e per anni è stata meta di pellegrinaggio per molti curiosi. Gran bel posto davvero. Sapevo della sua amicizia con Moggi e quando il Direttore passò alla Juve iniziai a tormentarlo per conoscere, come giustamente lo definisci tu, il Maradona dei direttori sportivi. Durante quell’estate, appunto, alla fine Giovanni riuscì a portarmi a casa del Direttore per festeggiare la vittoria in Champions. Devo dire che per anni sono stato più un conoscente che amico, uno dei tanti insomma. M’invitava alle partite ma sempre con il giusto “lasciapassare” di Giovanni. Poi scoppiò Calciopoli ed un bel giorno d’estate 2006 mi recai a casa di Luciano di mia iniziativa per raccontargli alcune “favole” (mai viste favole così reali) di cui ero stato personalmente testimone e che alcuni anni dopo sono finalmente venute a galla. Da quel giorno è iniziata la mia amicizia con il Direttore e con tutta la sua famiglia. Persone meravigliose. Sono molto felice quando m’invita nell’intimità della sua casa durante i giorni di Santo Stefano e Pasquetta. Senza contare che nel periodo estivo lo vedo spessissimo, a volte sono anche ospitato nella sua bella barca. Sono molto affezionati anche a mia moglie ed ai miei figli, bianconeri sino al midollo. Non potrò mai scordare la faccia del Direttore, quel giorno d’estate, quando iniziai a raccontare le mie “favole”, che potevo conoscere a memoria grazie alle mie amicizie senesi con noti tesserati AIA. Poi le favole sono diventate realtà, per mia immensa soddisfazione, ma non sono bastate per sovvertire certe sentenze che, a mio parere, hanno del ridicolo e che tutti conosciamo.

Visto e conosciuto da dietro le quinte, che si può dire di nuovo del Direttore?
Sarò breve: una persona semplice, genuina, con uno spiccato senso dell’humour e veramente di cuore. In gran segreto Luciano fa del bene a tante persone. E poi mi colpisce molto percepire quanto ami stare con la famiglia e con gli amici, veri, che magari sono fuori dal mondo del calcio, come potrei essere io. Adora ridere, scherzare e prendere in giro. Credo che questo suo modo di essere lo abbia portato a quei problemi che tutti conosciamo. Il suo è un modo di fare molto toscano, diretto ed ironico, che può essere frainteso. Noi toscani si può essere amati oppure odiati per questo nostro modo di dialogare così colorito.

Quest’amicizia di cui vai giustamente fiero ti è costata molto, dal punto di vista umano e giuridico. Ti sei trovato catapultato dai media sulle pagine di tutti i quotidiani. Spiegaci (per quanto puoi, avendo qualche contenzioso tuttora aperto) cosa ti è capitato.
Come giustamente dici c’è un contenzioso ancora aperto e, di conseguenza, dovrò attenermi ai fatti. Sono intercettazioni che vanno da settembre 2006 a febbraio 2007, quindi questo vuol dire che il Direttore era già stato “colpito ed affondato”, come si dice in gergo della battaglia navale. Nonostante ciò continuavano ad intercettarlo, incredibilmente. Ecco che in quelle telefonate è venuto fuori anche il sottoscritto. Ripeto, sono fuori dal mondo del calcio, a meno che essere piccoli azionisti juventini o grandi tifosi non comporti reato. Sono in causa contro sei importantissime testate giornalistiche che hanno scritto cose pesanti sul mio conto, pubblicando anche il mio indirizzo di casa. Non mi risulta che ai più grandi delinquenti di questo mondo sia mai stato pubblicato l’indirizzo di casa. Tutto ciò procurò enormi danni, soprattutto psicologici, a me e mia moglie, che dovette rifugiarsi dai miei suoceri perché qualche “burlone” veniva a suonarci il campanello in piena notte, oppure correva ad infilarci qualche letterina di “auguri” nella cassetta della posta. Io sono orgoglioso di lavorare per una grande multinazionale farmaceutica, la seconda nel mondo. Amo il mio lavoro che faccio con tanta soddisfazione: è stato messo a rischio anche quello, e tutto ciò non è giusto. Non si può essere amici di Moggi in Italia? E’ proibito? Qualcuno me lo dovrà spiegare prima o poi. Arriverò sino alla Corte dell’Uomo, se sarà necessario. Lo giuro sui miei figli.

I media. Brutta bestia come si dice?
Io ho sempre sognato di fare il giornalista. Da ragazzino se mi chiedevi cosa preferivo tra il mestiere di calciatore o giornalista, avrei risposto il secondo. La mia vicina di casa, un’insegnante di liceo, consigliava sempre ai miei genitori una carriera in quel settore perché, secondo lei, possedevo grande facilità di scrittura. Poi la vita, come spesso accade, prende altre strade. Adesso con i miei libri ed i miei articoli mi sto prendendo qualche soddisfazione, diciamo che scrivere è un ottimo “hobby”. Quindi, provo per i giornalisti un senso d’invidia smisurato, nel senso buono della parola. Premetto che ho la fortuna di conoscere, anche personalmente, bravi professionisti della carta stampata, però, dobbiamo riconoscere, che ormai molti giornalisti scrivono quello che a loro fa più comodo in un certo momento. Quelli sportivi, in più, scrivono a secondo del domicilio della propria testata giornalistica o seguendo quello che gli detta il cuore. I giornalisti sono tifosi e la prova la vediamo nei vari articoli, a volte disgustosi. Poi esistono giornalisti che addirittura sono complici di “colpi di stato calcistici”, ma quello è un altro discorso.

Nel capitolo del libro dedicato a Moggi mi hanno colpito due frasi dette dal Direttore: la prima è “tranquillo Gambelli, gli scudetti sono e saranno 29 (ora 30)” parlando della triste vicenda Farsopoli-Guido Rossi–cartonato nerazzurro, la seconda ripetuta come un mantra “devono fallire”, riferita ad un prestigioso quotidiano sportivo.
Quella, la ricordo bene, fu la prima telefonata che mi fece Luciano per ringraziarmi, da gran signore, di quella visita in quel caldo pomeriggio d’estate. Mi chiamava Gambelli, adesso mi chiama “artista” o più semplicemente Riccardo. Mi voleva tranquillizzare: “Gli scudetti sono 29”. Ma io già lo sapevo, da molto tempo.

Quindi, se ho ben capito, posso annoverare entrambi come fans del blog #iononcomprolagazzetta?
Su di me ci puoi contare, attendendo fiducioso la risposta del giudice. Quel “coglione” (così è stato scritto su di me sulla rosa) ancora non mi va giù. Credo anche il Direttore, ma, per correttezza, lo dovresti chiedere a lui.

La Juve, amore senza fine. Qual è la Juve che senti più vicina e chi ne erano i condottieri?
Non ho dubbi: quella del '94-'95. Quella è la Juve che ho più amato, forse perché venivamo da nove anni di sofferenze targate Milan. Quella Juve era piena zeppa di campioni ricchi di umiltà ed orgoglio smisurato. Forse non la più bella tecnicamente, ma certamente la più guerriera. E poi il capitano di quella squadra era il giocatore che più ho amato: Gianluca Vialli. C’è una frase che fa parte del mio dna: “Un leader è tale quando gli altri ti riconoscono leader”. Vialli è sempre stato riconosciuto leader incontrastato dai compagni, anche quando alzò la Champions a Roma. Sembrava che tutti gli altri bianconeri gli stessero dicendo: “Vai Luca, se siamo Campioni d’Europa molto merito è tuo. Sei tu che ci hai portato fino a qui. Alza la Coppa, alzala al Cielo!!!”. Quel giorno ero presente e se ci ripenso mi vengono i brividi. Ho avuto la fortuna di conoscere Luca Vialli, persona disponibilissima e simpaticissima, un vero guerriero travestito da signore.

Si narra che tu abbia una capacità paranormale, più o meno asseverata: fai sogni premonitori. Sarà stato il viaggio nella terra dei Maya ? Scherzi a parte, hai già sognato Buffon che alza la Coppa orecchiuta?
Devo dire che, incredibilmente, i miei sogni qualche volta si avverano, sia nelle cose belle che quelle brutte, tipo l’incidente autostradale in Messico, che feci due giorni prima che avvenisse. Fu un sogno dichiarato, tanto che i miei amici ancora lo ricordano durante le cene. Devo dire che non ho ancora sognato Buffon alzare la Coppa con le Orecchie. Purtroppo, in questi ultimi giorni, ho avuto occasione di sognarlo mentre incassa di nuovo i due goal da Icardi…

Siena è il tuo rifugio. Lì hai amici e conoscenti che ti apprezzano per il carattere buono e guascone, istintivo e senza mezze misure. Tra i tanti amici, Alessandro Nannini. Grazie a lui in un colpo solo hai stretto la mano a due miti di tutti noi: l’Avvocato Gianni Agnelli e Ayrton Senna.
Sandro Nannini è un mio caro amico. Siamo stati un paio di anni in classe insieme e per un certo periodo di tempo frequentavamo lo stesso gruppo amici. E’ lui che mi ha portato nei vari box e paddock in giro per il mondo. Ho sempre amato la Formula 1, dai tempi delle battaglie tra Lauda e Hunt. Quando posso vado ad affittare un go-kart o mi prenoto per qualche corso in pista di Formula 2. Quindi ti puoi immaginare cosa potevo provare quando mi ritrovavo catapultato nei box di Benetton, Ferrari e McLaren. Budapest 1990: un giorno memorabile. Durante le prove del sabato Paola, la moglie di Sandro di allora, mi presentò l’Avvocato Gianni Agnelli e Sandro mi presentò Senna, che mi regalò addirittura il suo cappello. Oggetto prezioso, quasi quanto la maglia numero 2 di Gentile, targata Ariston 1982. Cimeli storici, straordinariamente importanti, che tengo appesi nel mio studio. A dir la verità avevo pensato di donare la maglia di Gentile al nuovo museo della Juve, poi ho preferito tenerla per me. Galimberti mi perdonerà. Tornando a Budapest fu un’emozione grandissima quando strinsi la mano dell’Avvocato, che mi disse: “uno dei tanti juventini…”. Mentre di Senna ricordo il suo sguardo, con l’occhio destro velato di lacrime. Mi colpirono molto i suoi occhi, che sembrava leggessero il suo tragico futuro. Durante quei tre minuti che si confrontò con me e Sandro non accennò mai ad un sorriso. Aveva la tuta rossa legata in vita, già concentrato sulla prossima pole position. Vinse Boutsen. Mentre Sandro ancora ricorda “la macchinata” (definendola proprio così) che Ayrton gli rifilò sul posteriore, nel tentativo, riuscito, di superarlo. Sandro è stato uno dei piloti italiani più veloci di tutti i tempi. Un maledetto elicottero gli ha stroncato la carriera. La macchina di Schummy sarebbe andata in sorte a Sandro. Quella Benetton era imbattibile. Avrei tantissime storie e aneddoti simpatici su Alessandro da raccontare, un personaggio fantastico, ma dovrei scrivere un altro libro.

Io, dopo che Montezemolo si è reso protagonista del ritiro del ricorso al TAR nel 2006, non riesco più a tifar Ferrari. Il cuore batte per il cavallino rampante, la mente e l’anima bianconera mi dicono: “Finché c’è quel corvo, devono perdere”. Tu da che parte stai?
Ti devo confidare che ho sempre amato molto di più la Formula 1 che la Ferrari. Nel senso che apprezzo e studio questo sport in tutte le sue sfumature, soprattutto tecniche. Non nascondo che ho amato infinitamente Senna, come adesso adoro Hamilton, un pilota immenso, oltre ad essere un personaggio affascinante. Certo è, che, come tutti i nostri concittadini, adoro anche la Ferrari e, nonostante Montezemolo, non riesco a tifare contro. Ma dico anche che Vettel e la Red Bull hanno meritato l’ultimo Mondiale e sono stato contento per loro.

Comunque il bel Montezemolo era anche il deus ex machina della Juve più insulsa di tutti i tempi: quella del 1990 e di Gigi Maifredi. Una raccolta di figurine, più che una squadra. Cosa non funzionò in quella stagione?
Quella Juve di allora mi ricorda molto la Roma di Zeman dei giorni d’oggi. Certe squadre da “luna park”, che ancora devono iniziare la scuola. Maifredi era un venditore di champagne, e si vedeva, Zeman è un venditore di fumo, e si vede.

So che fai parte della Fondazione Fortunato (avercene anche oggi terzini così). Ti va di parlare dell’argomento?
Certamente. La mia collaborazione con la Fondazione Fortunato (Associazione Onlus Fioravante Polito) è iniziata quando fu pubblicato sui siti juventini il mio pezzo dedicato a Fortunato: “Fratello Andrea”. Fu allora che Davide Polito, il Presidente, mi chiese se l’articolo poteva essere inserito nel libro che stava nascendo, dal titolo “Andrea Fortunato, una stella cometa”. Io fui molto orgoglioso di quella richiesta ed iniziai a collaborare con loro. Non potrò mai dimenticare quando ci recammo a Perugia, all’interno della Fondazione Chianelli, insieme a Pessotto, Polito e Candido Fortunato, fratello di Andrea, a presentare il libro di fronte a tantissimi bambini ammalati di leucemia, felici, per un giorno, di avere con loro il campione Gianluca Pessotto. Anche quest’anno il Premio Fortunato verrà consegnato in Campidoglio il 18 marzo, dove è intervenuto negli anni passati anche il Presidente Andrea. Lo scorso anno feci parte della giuria per la scelta del Premio alla Carriera. Io indicai Moreno Torricelli, un grande uomo e atleta, la cui favola ha affascinato gli sportivi di tutto il mondo. Il destino da Moreno, ahimè, ha voluto però tutto indietro. Scelsi Moreno perché come Fortunato volava con i capelli al vento sulla fascia, come un agile levriero. Sono felice di essere stato nominato Socio Onorario di questa bella Associazione, che sta crescendo di anno in anno in ricordo di un meraviglioso ragazzo.

Allenatori Juve. Sul gradino più alto metti Lippi, Conte o Trapattoni?
Conte avrà tempo di sicuro per arrivare con gli altri due, ne sono convinto. Ma tra i grandissimi io cito un altro che non hai nominato: Fabio Capello. Se non fosse scoppiata Calciopoli Capello avrebbe vinto quanto gli altri due e forse più. Aveva un rapporto meraviglioso con il Direttore e sarebbe rimasto juventino per molto tempo. Oltre ad essere un grande tecnico era un grande manager. Lui stesso convinceva i giocatori a seguirlo. Nell’operazione Emerson alla Juve Capello ebbe un ruolo determinante, come quando convinse Trezeguet a rimanere o nella scelta di Ibra, il grande colpo di mercato dell’ultimo minuto del Direttore. Io dico Capello: uno dei più grandi allenatori di sempre. Certamente il suo gioco non faceva impazzire tutti, è vero, ma lui metteva la squadra più adatta in campo per i tre punti, sempre e comunque, con un cinismo spietato, quasi da killer. Anche durante l’ultimo Mondiale ricordiamo quello che accadde e come avrebbe potuto essere diverso il cammino dell’Inghilterra se quel goal regolare fosse stato convalidato. Comunque, tanto di cappello a Marcello Lippi, vincitore di un grande Mondiale, scudetti e coppe a go-go.

Top player, si dicono oggi. Scegline uno solo, con tanto di motivazione: Platinì, Zidane, Del Piero.
Come bandiera la risposta è scontata: Del Piero, il giocatore più importante della Storia bianconera e che resterà per sempre nei cuori di tutti. Ma come giocatore dico Zidane. La sua classe, il suo stile, la sua intelligenza calcistica, i suoi tocchi, sono stati qualcosa di magico per gli occhi di ogni tifoso di calcio. Zidane è stato un Mikhail Baryshnikov del pallone, danzava sulla sfera, imprendibile e calciava con entrambi i piedi con la potenza di un cannone. Grandissimo Zizou! Altro colpo di genio del nostro Direttore. Platini: un altro super, sicuramente, ma in un tempo in cui ti potevi permettere anche qualche centimetro di adipe sui fianchi. E’ comunque vero che ogni giocatore va valutato durante la sua epoca, e, di sicuro, dopo Maradona era il migliore. Ma, ripeto, io scelgo Zidane.

Per essere tali ognuno di loro dev’essere supportato e sopportato da grandi calciatori e grandi uomini, i cosiddetti gregari. Sono giocatori che vengono amati oltre la ragione, per il loro modo d’essere, di lottare, di onorare la maglia. Qual è per te il miglior gregario di sempre? (il mio, Luciano mi perdonerà viste le mille liti e il famoso caffè mai preso, è Edgar Davids)
Davids era un gregario per modo di dire. L’olandese era dotato di tecnica sopraffina che miscelava con un agonismo sfrenato, un grandissimo. Come gregari puri ne ricordo tre, Furino, Bonini e Deschamps. Quando a Platini chiedevano: “Come fa a reggere quasi un pacchetto di sigarette al giorno?”. Lui ripeteva: “Tanto a correre ci deve pensare Bonini”. Deschamps, infine, è stato il fulcro del centrocampo bianconero negli anni d’oro di Lippi. Mai visto un tale combattente come il capitano della Nazionale francese. Adesso il gregario, inteso come il giocatore che fa legna, è difficile trovarlo. Non è più concepibile considerare gregari giocatori come Marchisio o Vidal. Questi sono centrocampisti dinamici, grandi conquistatori di palloni, ma dotati di classe sopraffina.

Finiamo con l’ormai classico gioco della Torre: Palio alla tua contrada o 31° scudetto?
Questa è una domanda che non mi dovevi fare. Come ti ho detto, il Palio per un senese è un qualcosa che non si può spiegare e che nessuno, che non sia di Siena, potrebbe mai arrivare a capire. La risposta è scontata e sono sicuro che i tifosi juventini mi perdoneranno.

Llorente o Drogba?
Drogba, in prestito sei mesi lo prenderei, in attesa di un bel bomber per giugno: di sicuro no Llorente.

Fiorentina o Inter?
Inter, finché non li vedrò in serie B non avrò pace.

Fernando Alonso o Gilles Villeneuve?
Risposta scontata: Gilles, il Maradona dei piloti, anche se Alonso è uno dei più grandi cannibali della pista di tutti i tempi.

L’assoluzione di Moggi e della Juve da Calciopoli o la prossima Champions League?
Moggi assolto, che festeggia la Champions League con i tifosi juventini

Il tuo 11 bianconero di sempre.
Questa è la domanda più difficile del mondo: scegliere la Juve di tutti i tempi. E’ molto complicato perché ci sono stati dei grandissimi di certe epoche adatti ed indicati per il tipo di gioco praticato in quel periodo e che avrebbero trovato sicuramente difficoltà nel calcio attuale, moderno. Negli anni '70-'80 si giocava con due marcatori fissi, un fluidificante ed un libero in difesa; un tornante di destra, due cursori ed un regista a centrocampo ed infine le classiche due punte. Ecco che i protagonisti di quel calcio erano i vari Furino, Causio, Morini, Gentile, Scirea e tanti altri. Prendiamo Scirea, che è stato il più grande libero di tutti i tempi. Le sue caratteristiche sarebbero state idonee per il modulo difensivo attuato ai giorni nostri? E’ probabile che l’indimenticato Gaetano sarebbe stato perfetto per giocare in coppia con Cannavaro, ma non abbiamo la controprova. Comunque ci proverò, prendendo in considerazione solo quei calciatori che i miei occhi bianconeri hanno potuto ammirare. Giocherò con 4-3-1-2.
Buffon
Ferrara, Cannavaro, Thuram,Cabrini
Tardelli, Davids, Nedved
Zidane
Vialli Del Piero
Ho inserito Cabrini e Tardelli, come giocatori degli anni '70/'80, perché li ritengo due campioni super anche per i giorni nostri. Ogni volta che vedo il Principino Marchisio torno indietro nel tempo, quando Schizzo, nell’arco di trenta secondi, salvava un goal nella nostra porta e lo vedevamo nell’azione successiva tirare un bolide che s’insaccava all’angolino del portiere avversario. Il suo urlo di Madrid '82 lo possiamo ancora udire: pelle d’oca.
Detto questo, mi scuso umilmente con Scirea, soprattutto, Montero, Platini, Bettega, Morini, Causio, Paolo Rossi, Baggio, Pessotto, Kohler, Trezeguet, Ibra, Conte, Deschamps, Zoff, Tacconi e tanti altri.

Un’ultimissima domanda: mi risulta che ami anche il basket. E’ vero?
Sì, lo seguo sin da bambino. Sono un super tifoso della Monte dei Paschi Mens Sana Siena, Campione d’Italia per sei volte consecutive, un vero record. Sei scudetti che vanno a fare compagnia al primo, vinto nel 2004. Approfitto per fare gli auguri al mio grandissimo amico gobbo, compagno di trasferte juventine e mensanine, Filippo Lazzeroni, il cui padre è da pochi giorni il nuovo Presidente della Monte dei Paschi. Filippo è un gobbo vero, proprio come noi. Concludo: ho la fortuna di tifare per due squadre ricche di scudetti: 7 la MPS e 30 la nostra Juve, e, tra pochi mesi, potrebbero essere 31. Grazie infinite per questa intervista. Troppo, troppo onore, che, sinceramente, credo di non meritare.

Per chi non conosceva Riccardo, spero d’aver fatto intuire chi è quest’uomo schivo ma pieno di risorse, poeta in grado di scrivere frasi come “le musiche di Ennio Morricone sono talmente cariche di struggente bellezza che, ogni volta che le ascolto e guardo il cielo, mi sembra che qualcuno mi sollevi da terra verso l’azzurro infinito” e un secondo dopo disquisire con la stessa leggerezza di terzini e centravanti, ovviamente bianconeri.
E’ stato un vero piacere chiacchierare a 360° con un grande tifoso juventino ed un uomo dal cuore grande che ho conosciuto grazie a “Coriandoli bianconeri”, libro che è tra i migliori del suo genere e che consiglio a chi ci legge. Per questo ringrazio l’inedito duo Zebra-Befanina.
A presto,