Juve-Roma ’87: il pomeriggio amaro di Boniek

Era l’11 ottobre del 1987 quando Juve e Roma s’incontrarono in un match valido per la quinta giornata della Serie A 1987-88. Era la gara più attesa della domenica, pronta a richiamare una rivalità nata qualche anno prima, priva però di quei veleni che l’avevano caratterizzata negli anni “ruggenti”. Dalla stagione ’80-'81 a quella’85-'86, per ben quattro volte bianconeri e giallorossi si erano spartiti i primi due posti in classifica, al termine di battaglie dentro e fuori dal campo durate per annate intere: tre le volte in cui i nostri si laurearono campioni d’Italia, una sola quella in cui furono i giallorossi a prevalere. Curioso poi notare come in maniera speculare si erano divise anche la Coppa Italia: l’edizione '82-'83 venne conquistata dalla Juve, mentre negli anni '81, ’84 e ’86 furono i capitolini a vincere la Coppa nazionale.
Completamente diversi gli stati d’animo con cui le due sfidanti si presentarono alla gara. La Roma era ancora imbattuta, con tre vittorie ed un pareggio cercava di tener testa al Napoli capolista, capace nelle prime quattro giornate di fare altrettante vittorie. La Juve invece veniva da una sconfitta esterna a Verona, la seconda stagionale, tanto che la sfida con la Roma appariva già come un crocevia fondamentale per comprendere le reali possibilità dei ragazzi di Marchesi di puntare al titolo finale. Anche Tacconi alla vigilia del match era stato molto chiaro: “Se perdiamo usciamo dal giro scudetto. Dobbiamo disputare una bella gara, vincere e scrollarci di dosso le critiche di Verona. L’alibi del 'dopo Platini' non regge più. Per la Roma è una sfortuna incontrarci adesso. Abbiamo la grinta e la carica giuste”.
Rispetto agli inizi del decennio erano cambiati anche parecchi protagonisti: non c’erano più Falcao e Platini, stelle indiscusse di entrambe le compagini; anche Rossi, Tardelli, Gentile da un lato, Graziani, Di Bartolomei, Ancelotti dall’altro si erano accasati altrove. Gli stessi Brio, Scirea, Conti e Pruzzo, ancora in sella, cominciavano a sentire il peso di qualche primavera di troppo. Discorso a parte invece per Zbigniew Boniek: passato due stagioni prima dalle sponde del Po a quelle del Tevere, rimaneva comunque il grande ex della sfida, molto più di Manfredonia che ne aveva imitato il trasferimento proprio nell’estate del 1987.
La forte pioggia che cadeva sul Comunale, come da classica giornata di ottobre, non fermava di certo la voglia di rivincita di Cabrini e compagni, che da subito si fecero preferire ai giallorossi per pressing, spirito di sacrificio e vivacità. Sin da primi minuti Brio e Favero presero le misure a Voeller e Boniek, mentre Bonini e Cabrini sembravano quelli dei tempi migliori: il primo sembrava avere la meglio sul centrocampo giallorosso, mentre il terzino scendeva sulla fascia con la stessa efficacia di quando era più giovane, dando più di un problema al malcapitato Tempestilli. Già dopo tre minuti la Juve avrebbe potuto passare in vantaggio, ma Rush sprecò malamente l’ottimo assist offerto da Laudrup, così come qualche minuto dopo  spedì un colpo di testa di poco al lato. La Roma non riusciva praticamente mai ad impossessarsi del pallone, cercando di affidarsi al contropiede che, al 25’  si concretizzò in un calcio di rigore a causa dell’intervento in uscita di Tacconi su Giannini. Si dice spesso che un rigore parato da un portiere è soprattutto per demerito di chi lo tira, ma quando Boniek si presentò sul dischetto, Tacconi fece un autentico miracolo: il tiro era indirizzato quasi all’angolo, tanto che Tacconi sulla sua respinta dovette ricorrere all’aiuto del palo per mandare il pallone oltre il fondo. L’episodio mise un po’ di paura  ai nostri, tanto che si presentarono dalle parti di Tancredi solo alla fine del primo tempo quando Cabrini riuscì a batterlo con un sinistro da fuori area: anche in questo caso ci fu lo zampino di Boniek, che mandò il pallone oltre le spalle del proprio portiere grazie ad una deviazione quasi impercettibile.
Nel secondo tempo si smise praticamente di giocare, visto che all’erba si sostituirono fango e pozze d’acqua, anche se fu ancora la Juve a cavarsela meglio, tanto da andare vicina al raddoppio con Magrin al 73’: il suo tiro finì sulla traversa e la partita terminò così 1-0 per i nostri.
Alla fine del match, Liedholm accettò con serenità il verdetto del campo: “Il terreno di gioco era praticabile, anche se nel primo tempo la palla scorreva meglio. Onore alla Juve che ha mostrato più carattere".  Di diverso avviso invece il Presidente Viola: “E’ stata una partita falsata dal campo impossibile”, rincarando la dose: “nella ripresa, forse c’era un secondo rigore su Voeller”. Dichiarazioni da catalogare alla  voce “ordinaria amministrazione”  se si pensa alle esternazioni di qualche anno prima, oppure a quelle di qualche anno dopo da parte della coppia Baldini-Sensi.